Ruanda: equilibri di potere


Raffaele Masto - www.buongiornoafrica.it


Circolano voci sempre più insistenti sul fatto che in Ruanda stia succedendo qualcosa. Impossibile sapere di più, si tratta di voci, ammiccamenti. Oppure timori, preoccupazioni.


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Circolano voci sempre più insistenti sul fatto che in Ruanda stia succedendo qualcosa. Impossibile sapere di più, si tratta di voci, ammiccamenti. Oppure timori, preoccupazioni. Oppure, ancora, semplici sentori può anche darsi senza fondamento.

Non è da oggi però che si vocifera. Era accaduto anche qualche tempo fa. Ora queste voci sono diventate più insistenti dopo l’assasinio in Sudafrica, a Johannesburg, qualche settimana fa di Patrick Karegeya un ex capo dei servizi segreti di Kigali divenuto un esponente di spicco dell’opposizione al presidente Paul Kagame.

Nelle scorse ore tre cittadini ruandesi sono stati arrestati in Mozambico in relazione aquell’assassinio. Impossibile sapere se abbiano raccontato qualcosa, se erano assoldati dal Ruanda o se hanno agito per altri committenti.

Dunque impossibile, al momento confermare o smentire che all’interno del potere ruandese siano in corso regolamenti di conti, o avvicendamenti, o cambiamenti.

Non rimane che stare ai fatti. Il Ruanda è un piccolo paese senza ricchezze, troppo densamente abitato tanto che non c’è terra per tutti, quindi con delle tensioni potenziali enormi.

Eppure in questi due decenni è diventato una sorta di potenza regionale. Il trucco è stato quello di drenare ricchezze dal vicino e ricchissimo Congo e di “esportare” cittadini ruandesi oltre confine.

Qualche tempo fa si diceva che Paul Kagame era il fautore di un territorio allargato che potrebbe essere definito “TutsiLand”, cioè un “grande Ruanda” che si estendesse nella parte sensibile del Congo, cioè la parte ricca e abitata dai cosiddetti baniamulenge, popolazioni di origine tutsi fuggite nei decenni alle persecuzioni degli Hutu in patria.

Sembra assurdo – o meglio, è drammatico – ma l’unica prospettiva di sopravvovenza nel tempo del Ruanda è proprio questa. Una leadership credibile in questo paese deve in qualche modo dare una prospettiva di questo tipo. L’alternativa è il suicidio. Certo non domani, forse nemmeno dopodomani, ma prima o poi…

Del resto se il Ruanda è piccolo, il Congo è enorme e quelle regioni ricchissime distano duemila chilometri dalla capitale Kinshasa. Sono ancora più lontane perchè il Congo non ha strade e non ha nemmeno linee aeree affidabili.

Un tempo i confini africani erano intoccabili, frutto di accordi coloniali che avrebbero messo in discussione anche i rapporti tra le grandi potenze. Oggi non è più così. Già due volte sono stati rivisti, con l’indipendenza dell’Eritrea e, ancora più recentemente, con quella del Sud Sudan.

I motivi oggettivi perchè il prossimo confine “ritoccato” possa essere quello tra Congo e Ruanda ci sono tutti. Politicamente adesso una prospettiva di questo tipo è quasi fantapolitica.

Ma il leader di un paese come il Ruanda, piccolo, soffocato dalla sua stessa popolazione e costretto a contare su ricchezze non proprie non può non pensarci.

Forse le voci che circolano sono solo il malessere di una classe dirigente in cerca di una prospettiva.

Fonte: www.buongiornoafrica.it
16 gennaio 2014

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