Puglisi, col Vangelo contro la mafia


Famiglia Cristiana


Oggi diventa beato il sacerdote ucciso da Cosa Nostra il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno.
La lezione indimenticabile di un sacerdote autentico.


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dpinopuglisi

Rideva, don Pino Puglisi, se lo chiamavano prete antimafia. Il parroco di Brancaccio, una delle borgatedi Palermo a più alta densità mafiosa, non amava i proclami, si sforzava semplicemente di essere un sacerdote coerente con il Vangelo. Quella coerenza che non cede di fronte ai compromessisu cui spesso si basa la potenza prevaricatricedegli “uomini d’onore”.

«Quel prete rompeva le scatole», diràdi lui uno dei componenti del commando di fuoco che lo uccise come un agnello, una sera di settembre, la sera del suo compleanno, di fronte alla porta di casa, mentre dalle finestre aperte entrava l’aria avvolgente dello scirocco.

La sua pastorale dentro la borgata, come ha scritto don Luigi Ciotti nella prefazione della biografia di Mario Lancisi del sacerdote che viene proclamato beato, era considerata “un’interferenza”.
Per svolgere appieno la sua missione laChiesa spesso “interferisce”, si frappone tra vittime e carnefici, si inserisce nei disegni dei mafiosi, nei soprusi della politica complice, getta luce nei verminai nascosti nelle zone d’ombra. Don Puglisi, martire in odium fidei, è stato la dimostrazione vivente di quanta paura a Cosa nostra possa fare un’azione sacerdotale svolta fino in fondo: l’educazione, la catechesi dei ragazzi, l’apostolato in parrocchia, l’esempio e il richiamo all’autenticità dei valori del Vangelo.

Il parroco di Brancaccio,costretto a celebrare Messa in un garage perché la chiesa di San Gaetano era rimasta danneggiata dal terremoto, strappava centinaia di bambini alla strada, tradizionale vivaio mafioso.
Promuoveva comitati civici per rendere più vivibile una borgata che non aveva nemmeno un albero e una scuola media. Ricordava ai politici locali il senso autentico del loro mandato. Smontava e irrideva la cultura dell’indifferenza e dell’omertà (con Agostina Ajello aveva creato un “Padre nostro dei mafiosi” pertenere lontano bambini e ragazzi dallamentalità criminale).

Portava a fare volontariato in un quartiere periferico iragazzi della buona borghesia del liceo classico Vittorio Emanuele che, come avviene spesso nelle metropoli del Sud, in certe zone non ci avevano mai messo piede. Aveva fondato un centro, intitolato alla preghiera che tanto amava, per fare ripetizione ai bambini poveri, destinati a un futuro di disagio o di asservimentoalla potenza dei boss.

Non a caso il suo assassino, che era della sua stessa borgata, aveva la quintaelementare. E quando gli arrivavano minacce, intimidazioni, avvertimenti, invitava i mafiosi dal pulpito a redimersi.

Non è possibile comprendere fino infondo la sua santità se non si comprendeil suo modello autentico di sacerdozio. La sua luce di santità ora splende suuna città difficile come Palermo, e ci ricordache anche nei momenti più cupi,come è stata l’epoca delle stragi, cui ilmartirio di Puglisi appartiene storicamente,la luce del Vangelo e l’esempio di un modo di vivere autentico non ciabbandonano mai.

Alberto Chiara e Antonio Sanfrancesco

Fonte: www.famigliacristiana.it
25 maggio 2013

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