Una società “sciapa” e infelice. Con più diseguaglianze


Redattore Sociale


Rapporto Censis 2013: siamo malcontenti, quasi infelici, “perché viviamo un grande ampliamento delle diseguaglianze sociali. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale”.


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Il 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2013. Nonostante la crisi, “il crollo atteso non c’è stato”. Ma siamo malcontenti, quasi infelici, “perché viviamo un grande ampliamento delle diseguaglianze sociali. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale”

“Una società sciapa e infelice in cerca di connettività”. E’ questa, in un titolo, la lettura che il Censis dà della società italiana nelle “considerazioni generali” del 47° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2013.

Secondo il Censis oggi la società italiana “ha bisogno e voglia di tornare a respirare e reagire”, ad esempio, “alla scelta implicita e ambigua di ‘drammatizzare la crisi per gestire la crisi’ da parte della classe dirigente, che tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre”. E, spiega il Censis, “nel progressivo vuoto di classe politica e di leadership collettiva, i soggetti della vita quotidiana rischiano di restare in una condizione di incertezza senza prospettive di elite”.
Però, nonostante la drammatizzazione, viene sottolineato, “il crollo atteso da molti non c’è stato. Negli anni della crisi abbiamo avuto il dominio di un solo processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza. C’è stata la reazione di adattamento continuato delle imprese e delle famiglie”.

Il risultato? “Una società sciapa e infelice”. Per l’istituto, infatti, “dopo la sopravvivenza, oggi siamo una società più ‘sciapa’: senza fermento, circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa. E siamo ‘malcontenti’, quasi infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale. Da ciò nasce uno scontento rancoroso, che non viene da motivi identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e ceti”.

Qualche nota positiva? Sì, per il Censis, “si registra una sempre più attiva responsabilità imprenditoriale femminile (nell’agroalimentare, nel turismo, nel terziario di relazione), l’iniziativa degli stranieri, la dinamicità delle centinaia di migliaia di italiani che studiano e/o lavorano all’estero (sono più di un milione le famiglie che hanno almeno un proprio componente in tale condizione) e che possono contribuire al formarsi di una Italia attiva nella grande platea della globalizzazione”.

Ci sono poi due grandi ambiti che consentirebbero l’apertura di nuovi spazi imprenditoriali e di nuove occasioni occupazionali. Il primo è il processo di radicale revisione del welfare. Il secondo è quello della economia digitale.
Ecco perché, dice ancora il Censis, “il filo rosso che può fare da nuovo motore dello sviluppo è la connettività (non banalmente la connessione tecnica) fra i soggetti coinvolti in questi processi”.
Certo, osserva il Censis, “restiamo una società caratterizzata da individualismo, egoismo particolaristico, resistenza a mettere insieme esistenze e obiettivi, gusto per la contrapposizione emotiva, scarsa immedesimazione nell’interesse collettivo e nelle istituzioni. Eppure la crisi antropologica prodotta da queste propensioni sembra aver raggiunto il suo apice ed è destinata a un progressivo superamento”.

Oggi “le istituzioni non possono fare connettività, perché sono autoreferenziali, avvitate su se stesse, condizionate dagli interessi delle categorie. E la connettività non può lievitare nemmeno nella dimensione politica, che è più propensa all’enfasi della mobilitazione che al paziente lavoro di discernimento e mediazione necessario per fare connettività. Se istituzioni e politica non sembrano in grado di valorizzarla, la spinta alla connettività sarà in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva. A riprova del fatto che questa società, se lasciata al suo respiro più spontaneo, produce frutti più positivi di quanto si pensi. Sarebbe cosa buona e giusta fargli ‘tirar fuori il fiato'”.

(DIRE)

Fonte: www.redattoresociale.it
6 dicembre 2013

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