Un’Italietta impotente che osserva sotto coperta


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


“Ci hanno inseguito per ore. E mitragliato ogni venti minuti…”, conferma ai magistrati il comandante del peschereccio italiano mitragliato dai libici. Ma il Viminale dà la sua verità… O la “menzogna di Stato”…


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Un'Italietta impotente che osserva sotto coperta

L’Italietta sottocoperta. Con gli ufficiali della Guardia di Finanza umiliati, impotenti, che denunciano: noi, ostaggio dei libici. L’Italietta sottocoperta: quella di un ministro degli Esteri che «diserta» il Parlamento dopo aver dichiarato il giorno prima di essere pronto a dare spiegazioni sul mitragliamento libico contro il peschereccio Ariete. L’Italietta sottocoperta di un Trattato che, in nome degli affari miliardari, «genuflette» il nostro Paese al Raìs di Tripoli. Ai suoi fondi d’investimento. E agli atti di pirateria marittima.

L’ITALIETTA IN FUGA L’Italietta che ripete: la Libia si è scusata. Ma di queste scuse non c’è traccia. L’Italietta dei ministri parlanti (a vanvera), Maroni e Frattini, e di quelli incomprensibilmente silenti (La Russa). «Sono allibito dalle dichiarazioni di Frattini che ha accusato il mio comandante di pescare illegalmente. Evidentemente il nostro ministro degli Esteri preferisce difendere Gheddafi invece dei marittimi italiani mitragliati senza alcun motivo da una motovedetta libica che aveva a bordo anche nostri militari», annota con infinita amarezza Giuseppe Asaro, l’armatore del motopesca mazarese che domenica sera è stato assaltato da un’unità militare libica a trenta miglia a largo dalle coste nordafricane. «La mia imbarcazione – sottolinea l’armatore – non stava affatto pescando ed inoltre, come è stato accertato anche dai rilevamenti satellitari effettuati con il “Blue Box”, si trovava in acque internazionali. Si vede che il governo italiano ha riconosciuto di fatto la pretesa del governo libico, contestata invece da tutta la comunità internazionale, di estendere unilateralmente le proprie acque territoriali fino a 72 miglia». Asaro ribadisce le sue critiche anche al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che l’altro ieri aveva definito la vicenda «un incidente» sostenendo che forse l’Ariete fosse stato scambiato per un barcone di clandestini. «Ma perché è concesso sparare agli immigrati? In questi casi c’è licenza di uccidere?», si chiede Asaro. L’armatore ricorda che a questo proposito il comandante Gaspare Marrone e l’equipaggio dell’Ariete «hanno salvato centinaia di migranti nel Canale di Sicilia anche a rischio della propria vita: la legge del mare, e anche la nostra religione, ci impongono di aiutare le persone in difficoltà non di mitragliarle».

RABBIA MONTANTE Il malessere si fa strada anche all’interno della Guardia di Finanza. E a placarlo non basta l’«assoluzione» del Viminale. «L’operato del personale della Guardia di Finanza italiana, che al sopraggiungere degli eventi si ritraeva sotto coperta, è pienamente consono a quanto previsto dai protocolli» sottoscritti da Italia e Libia per il contrasto all’immigrazione clandestina Quindi, i finanzieri «in nessun caso possono essere chiamati a rispondere delle attività svolte dal comandante e dal personale dell’unità del Paese ospitante». È quanto scritto nel verbale della riunione di inchiesta che si è svolta l’altro ieri al ministero dell’Interno per fare luce sull’accaduto. Il rapporto, nella parte dedicata alle conclusioni, cita l’articolo 4 del verbale di riunione sottoscritto il 13 marzo 2009 dalla Commissione tecnica incaricata dell’esecuzione dei protocolli tra Italia e Libia: in quell’articolo viene specificato che «il comando e l’esecuzione delle missioni di pattugliamento marittimo con equipaggi congiunti sono affidati alla responsabilità dei comandanti e del personale dell’unità navale del paese ospitante». In particolare, «gli elementi italiani imbarcati su unità navali libiche e gli elementi libici imbarcati su unità navali italiane partecipano alle missioni di pattugliamento svolgendo esclusivamente compiti di osservatori». E gli osservatori in quanto tali «non possono in nessun caso emanare ordini o direttive concernenti la condotta della navigazione e dell’attività operativa (…) rispettano le leggi dello Stato ospitante e in nessun caso possono essere chiamati a rispondere delle attività svolte del comandante o dal personale dell’unità del paese ospitante». Quel «Protocollo» fa dei nostri finanzieri osservatori impotenti di fronte ad un assalto. «Si è trattato di un assalto bello e buono, di un tentativo di abbordaggio che è proseguito per circa tre ore, anche dopo la nostra fuga, con raffiche di mitraglia sparate a intervalli di un quarto d’ora-venti minuti», ribadisce il comandante dell’Ariete, Gaspare Marrone, che è stato ascoltato ieri dai magistrati della Procura di Agrigento. Una versione che non coincide con quella contenuta nel rapporto del Viminale. Nel verbale della riunione d’inchiesta svoltasi l’altro ieri al Ministero dell’Interno si legge infatti che «non c’è stato alcun inseguimento da parte dell’unità libica» dopo che ha aperto il fuoco. Ricostruzioni opposte. L’Italietta genuflessa e il vizio, mai smesso, delle «menzogne di Stato».

Fonte: l'Unità

16 settembre 2010

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