Tunisia, ancora una strage di migranti


La Stampa


Il governo prepara un piano di rimpatri, ma altri 56 migranti muoiono in mare. Strage di bambini nelle acque di Turchia e Tunisia. E Merkel tende la mano: «Gli italiani lasciati da soli»


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Intorno all’isola di Kekova ieri c’era il solito viavai di yacht. Una gara di tuffi, una regata di barche a vela e tanti bagnanti sulle spiagge, in uno degli angoli più belli della costa della Turchia. A poche miglia dagli ombrelloni e dal circo delle vacanze che si affaccia sul Golfo di Antalya, al dramma quotidiano dei migranti si aggiunge la morte di altri sei bambini. Erano a bordo di una barca che viaggiava di notte e che improvvisamente si è ritrovata in balia delle onde.

 

I morti in mare
A bordo del motoscafo erano in 14, ma la Guardia costiera è riuscita a salvare soltanto 5 persone. Nove morti che si sommano all’altra sciagura, quasi contemporanea, avvenuta sul versante opposto del Mediterraneo. Non lontano dalla Tunisia, dove un barcone con 180 persone è naufragato a poche miglia dall’isola di Kerkennah, nella provincia di Sfax. Le motovedette hanno recuperato subito 47 cadaveri e tratto in salvo 68 persone, ma il bilancio rischia di appesantirsi: «A bordo eravamo in 180, la barca poteva contenere solo 70 passeggeri. È andata a picco dopo che si è creata una falla».

 

I rimpatri di massa
Le autorità di Tunisi lavorano ormai da 24 ore per coordinare i soccorsi, ma in serata si ritrovano anche a dover rispondere alle nuove esternazioni del ministro dell’Interno italiano. Durante la prima uscita ufficiale da titolare del Viminale, Matteo Salvini tenta di essere un po’ più diplomatico ma la bordata del giorno la scaglia proprio sulla Tunisia: «Spesso e volentieri esporta galeotti». E da qui l’idea, detta a bassa voce, di organizzare un rimpatrio di massa. Per il governo tunisino è un preoccupante segnale d’allarme: «Seguiamo con apprensione le mosse di Roma, noi non abbiamo un piano per sostenere un rimpatrio di massa».

 

Piano antisbarchi
Mentre in mare si continua a morire, Salvini non cede sulla linea dura: «E’ solo buon senso. Certo, è un dovere salvare donne e bambini, ma l’Africa in Italia non ci sta. Non c’è casa e lavoro per gli italiani, figuriamoci per mezzo continente africano». Il progetto ruspa non rallenta e tra un incontro ufficiale e qualche tentativo di prudenza istituzionale, Salvini rilancia il copione da campagna elettorale: «Basta alla Sicilia come campo profughi d’Europa. Non assisterò senza far nulla a sbarchi su sbarchi. Creeremo più centri di espulsione, firmando nuovi accordi con i Paesi d’origine. I barconi della morte sono un affare per qualcuno e una disgrazia per il resto del mondo».

 

Braccio di ferro con l’Europa
Uno sguardo all’Africa e uno a Bruxelles. Il piano di Matteo Salvini alla guida del Viminale, infatti, non si compie solo provando a fermare i barconi. Ma anche con un braccio di ferro con l’Unione europea e gli altri stati. Specie sulla riforma del trattato di Dublino: «La Germania e la Francia finora hanno ostacolato qualsiasi passo avanti». Da Berlino, però, Angela Merkel non raccoglie la provocazione e tende la mano: «Parte dell’insicurezza in Italia nasce dal fatto che gli italiani si sono sentiti lasciati soli».

La Stampa

4 giugno 2018

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