Sudan, repressione e arresti


il Manifesto


Dopo il massacro di lunedì, la giunta militare tira dritto, malgrado la sospensione dall’Unione africana. Il difficile tentativo di mediazione del premier etiope Abyi Ahmed.


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Strade deserte ieri a Khartoum, dove fino a una settimana fa (e ormai da sei mesi) una moltitudine di persone – studenti, lavoratori di ogni settore, associazioni professionali, donne – manifestavano convinte di essere vicine al buon esito della loro rivoluzione, al netto del tramonto della presidenza di Omar al Bashir.

Il massacro che lunedì scorso ha accompagnato lo sgombero del sit-in di fronte alla sede dell’esercito (108 morti secondo l’associazione dei medici, 61 secondo il governo), segna un insanabile spartiacque.

Lo stop ai negoziati (e ai festeggiamenti per la fine del Ramadan) era il minimo. La serie di annunci e smentite da parte della giunta militare sul modo (confuso) in cui ora intende procedere, anche. Ed è ancora presto per capire se la mediazione avviata dal premier etiope Abiy Ahmed sortirà qualche effetto benefico.

L’arresto senza spiegazioni di tre esponenti delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc), il fronte composito che si oppone al Consiglio militare di transizione (Tmc) nel tentativo di scongiurare l’ipotesi di un regime dei generali, sia pure in chiave transitoria. Tra questi, preso all’alba di ieri insieme al suo portavoce Mubarak Ardol c’è Ismail Jalab, uno dei leader del Sudan People’s Liberation Movement-North (Splm-N), parte della rivolta armata anti Bashir che ha infiammato dal 2011 le regioni del Kordofan meridionale e del Blue Nile, le cui aspirazioni si saldano oggi con la lotta dell’alleanza formata da società civile e partiti politici per un governo di transizione civile.

La sera prima era finito in manette Mohamed Esmat, un’altra figura politica in vista delle Ffc. Faceva parte anche lui della delegazione che aveva appena incontrato il primo ministro etiope, arrivato a Khartoum con in tasca sia un mandato della Commissione per la pace e la sicurezza dell’Unione africana, per incontrare separatamente le parti e tentare una mediazione, sia la notifica della sospensione del Sudan «con effetto immediato» dalle attività dell’Ua, «fino a quando – dice la nota – non verrà effettivamente istituita un’autorità di transizione guidata da civili».

Tra i leader dei paesi confinanti con il Sudan, Ahmed era il più titolato a metterci una buona parola, visto l’effetto novità del suo arrivo al potere in Etiopia e il pragmatismo dimostrato fin qui. Della crisi in cui si è incartato il Sudan si sarà fatto un quadro più chiaro al termine della visita lampo.

SUL POSTO LASCIA un paio di emissari e promette che tornerà presto, quando non potrà limitarsi a dire, come ha fatto ora, che «la prerogativa essenziale per uscire dalla crisi è l’unità». Qualcosa di tangibile Ahmed lo ha comunque portato a casa: 78 cittadini etiopi che da anni giacevano nelle carceri sudanesi sono potuti tornare con lui a Addis Abeba.

Marco Buccitto

Il Manifesto

9 giugno 2019

 

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