Sud Sudan: ormai è guerra aperta con il Nord


Piergiorgio Cattani - unimondo.org


Dopo mesi di scontri, costati comunque centinaia di morti e migliaia di sfollati, da qualche giorno il conflitto tra i due paesi è aperto e si preannuncia gravido di nefaste conseguenze per i civili e per la stabilità di tutta la regione.


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Sud Sudan: ormai è guerra aperta con il Nord

Ormai è guerra. Le più fosche previsioni che quasi tutti gli osservatori facevano all’indomani del referendum sull’indipendenza del Sud Sudan si sono avverate. Dopo mesi di scontri, costati comunque centinaia di morti e migliaia di sfollati, da qualche giorno il conflitto tra i due paesi è aperto e si preannuncia gravido di nefaste conseguenze per i civili e per la stabilità di tutta la regione. Manco a dirlo la questione del contendere sta tutta nello sfruttamento delle risorse petrolifere proprio nella zona a cavallo del confine tra i due Sudan (si veda la mappa). Sembra proprio che ambedue le parti cerchino lo scontro e che nessuno voglia fare un passo indietro. Invano lancia un appello il vescovo di Khartoum Daniel Adwok: “Se Juba e Khartoum non tornano a negoziare sarà impossibile rimuovere le cause del conflitto; i governi non hanno fiducia l’uno dell’altro e per questo serve l’aiuto della comunità internazionale”. L’escalation è cominciata il 10 aprile scorso quando l’esercito del Sud Sudan ha occupato la zona petrolifera di Heglig, dopo giorni di bombardamenti. “Una sonora sconfitta sul campo – commenta Greenreport – che ha tagliato la metà della produzione petrolifera del Sudan e mandato su tutte le furie il regine di Al Bashir. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha chiesto al Sudan di cessare i bombardamenti aerei sui centri abitati del Sud Sudan e all’esercito sud-sudanese di ritirarsi da Heglig. L’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, ha detto: «I membri del Consiglio hanno discusso dei mezzi per mobilitare l’influenza del Consiglio per premere sulle parti per adottare queste misure ed hanno incluso in questa discussione un dibattito su delle potenziali sanzioni». Ma mentre al Palazzo di vetro dell’Onu a New York si dibatte al confine dei due Sudan si muore come sempre, come prima e dopo l’indipendenza, per il petrolio”. Il Sudan ha risposto con ulteriori azioni di guerra: “la sera del 15 aprile 5 bombe sono state lanciate sul villaggio di Mayom, colpendo una base della missione Onu e facendo 8 morti e 22 feriti, tutti civili. In una dichiarazione alla stampa, Hilde Johnson, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Sud Sudan, ha detto: «La perdita di vite umane causata dai ciechi bombardamenti a Bentiu e Mayom sono inaccettabili. È responsabilità delle parti interessate alle ostilità di rispettare l’integrità fisica dei civili ed il loro diritto a vivere senza la paura di essere sfollati. Richiamo le due parti a rispettare i diritti dell’uomo ed il diritto umanitario internazionale, a proteggere i civili ed a garantire la sicurezza delle organizzazioni di aiuto umanitario internazionali, così come il personale ed i beni dell’Onu». Anche l’alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Navi Pillay, ha esortato Sudan e Sud Sudan a mettere fine alle violenze che hanno stracciato l’accordo di pace raggiunto dopo decenni di conflitto armato, e che hanno portato all’indipendenza del Sud nel 2011. «Nel corso della settimana passata abbiamo assistito ad una intensificazione dell’utilizzo di aerei militari Antonov e di aerei da caccia per degli attacchi con bombe e razzi – ha detto la Pillay – compreso in zone molto vicine agli uffici delle organizzazioni internazionali. Tali attacchi deplorevoli devono cessare immediatamente». … L’aviazione sudanese il 15 aprile ha bombardato anche le installazioni petrolifere di Heglig, occupate dal 10 aprile dal Sud Sudan. Heglig è una regione ricca di petrolio a nord della linea di confine tra nord e sud stabilita già nel 1956, e produce 115.000 barili di greggio al giorno, la metà della produzione petrolifera del Sudan, che quindi non può lasciarla in mano ai sud-sudanesi. A Marzo il presidente sud-sudanese Salva Kiir Mayardit aveva detto che Heglig appartiene al Sud Sudan, rivendicazione respinta sia da Khartoum che dal’Unione Africana e anche l’Onu ha chiesto all’esercito di Juba di ritirarsi senza condizioni da Heglig, assegnata al Sudan tre anni fa da una commissione della Corte di giustizia internazionale”. Le Ong che si trovano ad operare in quelle zone mandano drammatiche testimonianze. Il Comitato Collaborazione Medica di Torino sostiene l’ospedale rurale di Turalei, nella contea di Twic, uno dei luoghi chiave per l’assistenza umanitaria agli sfollati interni e ai feriti dovuti alle violenze in corso. Così riporta un comunicato del CCM: “Il personale delle ong internazionali presente ad Agok e sul confine con il Sudan è in stato di allerta e molte hanno riallocato il loro staff a Turalei, per ragioni di sicurezza, ma la situazione è fluida ed in continua evoluzione. Il CCM è in stretto contatto con i funzionari ONU e con le altre ong presenti ad Agok, Turalei e Wunrok per il coordinamento dell’assistenza sanitaria e sta lavorando ad un piano di emergenza presso l’ospedale di Turalei, nel caso di peggioramento della situazione ed espansione del conflitto. La struttura sanitaria gestita dal CCM continua intanto le sue attività. Dispone di circa 40 letti per degenze chirurgiche e ricoveri e uno staff che prevede anche un chirurgo, un anestesista, e il personale per le emergenze ostetriche, pronti ad accogliere feriti e sfollati e tra di loro i più vulnerabili come donne e bambini. Alcuni aggiornamenti sulla situazione in Sud Sudan sono forniti dai rapporti dell’“Health Cluster” Sud Sudan di OCHA, l’organo di coordinamento del settore sanitario ONU per le questioni di emergenza, che raggruppa anche le ong presenti sul territorio, dunque una tra le fonti più affidabili. I dati aggiornati al 18 aprile, riportano 11 decessi e 312 feriti (tra cui 35 civili) registrati dal 28 marzo scorso, di cui 283 a Bentiu, 15 a Mayom, 4 ad Agok, e 10 ad Aweil in seguito a bombardamenti aerei e scontri tra militari. Ma più preoccupante è l’emergenza sanitaria che potrebbe originarsi dalle persone in fuga dagli scontri. Come sostiene Alessia Montanari, rappresentante CCM in Sud Sudan “i rischi maggiori sono la diffusione di epidemie legate all’acqua, alla mancata vaccinazione di bambini e all’aumento dei casi di malnutrizione. Tutti gli anni la fame nella contea di Twic si acutizza tra giugno e ottobre. Se la popolazione bisognosa di assistenza dovesse aumentare, le capacità di dare risposta alla crisi potrebbero non essere sufficienti”. Ci troviamo così di fronte all’ennesima guerra africana. Con le grandi potenze, Cina e Usa, a invocare pacificazione ma in realtà a sostenere uno o l’altro dei contendenti. E nel deserto del Sudan si gioca la solita partita globale per le risorse energetiche.

Fonte: www.unimondo.org
23 Aprile 2012

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