Siria. Raqqa è libera


Michele Giorgio


Le Forze democratiche siriane, a guida curda, da ieri hanno il controllo di tutta la “capitale” siriana di Daesh, lo Stato islamico. Jihadisti in fuga ma non ancora completamente sconfitti in Siria e Iraq. Il dramma di profughi e sfollati da una città ridotta in macerie dai bombardamenti


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Siria1

«Abbiamo liberato Raqqa, non è più la capitale del terrore». Hanno fatto il giro del mondo ieri queste parole pronunciate dal generale Talal Sillo, comandante delle Forze democratiche siriane (Fds) mentre i suoi uomini attraversavano la città alzando i mitra in segno di vittoria. In quelle stesse ore le tv mandavano in onda le immagini dello stadio di Raqqa, l’ultimo bastione di Daesh (Isis), per anni usato dai jihadisti come campo di detenzione e dove centinaia di persone hanno pagato, spesso con la vita, l’aver sfidato l’autorità del “califfo” Abu Bakr al Baghdadi. Sullo stadio da ieri sventola la bandiera delle Ypg curde, spina dorsale delle Fds.

Finalmente tacciono le armi. È terminata la battaglia cominciata a giugno e costata la vita, secondo un bilancio parziale, a 3.250 persone di cui 1.130 civili morti in buona parte sotto le bombe sganciate dai jet della Coalizione a guida Usa a sostegno dell’avanzata delle Fds. La centrale Piazza del Paradiso non sarà più “Piazza dell’Inferno”, come era stata ribattezzata dagli abitanti dopo il 2014. Forse un giorno avrà di nuovo le gelaterie che allietavano bambini e genitori prima che Daesh la trasformasse nella piazza delle esecuzioni, dove i corpi dei condannati a morte venivano lasciati sul posto talvolta per giorni, a scopo di ammonimento.

Non ci sono quasi più segni di Daesh a Raqqa. I vessili neri sono spariti. Così come i cartelli con le scritte intimidatorie che fino a qualche mese fa “decoravano” le strade della città ridotta ora in un cumulo di macerie. Sono spariti anche i 150 foreign fighter, i jihadisti stranieri alleati di al Baghdadi, ai quali non era stato concesso di lasciare Raqqa sulla base dell’accordo negoziato dalle Fds con i capi delle famiglie locali che ha permesso a 3mila civili e a circa 200 siriani militanti di Daesh di abbandonare la città. Di loro non si sa nulla, forse sono tenuti prigionieri nello stadio o sono stati catturati e portati subito via, in una località ignota. E nulla si sa anche del gesuita Paolo Dall’Oglio che il 29 luglio del 2013 venne rapito proprio a Raqqa.

In queste ore in cui i combattenti curdi festeggiano la riconquista di Raqqa e gli Stati uniti commentano soddisfatti il “successo” ottenuto, il pensiero corre ai 270mila abitanti della città scappati dai combattimenti e che hanno perduto tutto. Una massa di civili che si aggiunge ai milioni di profughi e sfollati della guerra in Siria. Sono sparsi nel territorio intorno a Raqqa e hanno disperato bisogno di aiuto umanitario. Il conto più alto lo pagano i bambini. Alcuni fra di essi hanno raccontato agli operatori di Save the Children di aver dovuto assistere a decapitazioni, alla morte di amici e compagni saltati sulle mine e di essere scampati per miracolo a bombardamenti che hanno ridotto in cenere le loro case. «A causa degli alti livelli di distruzione registrati a Raqqa e nelle zone limitrofe – avverte in un comunicato Save the Children -, la maggior parte delle famiglie si ritrova con poco o nulla per tornare a casa e presumibilmente sarà costretta a rimanere nei campi ancora per molti mesi e anni a venire. Ogni giorno, inoltre, più di 10.000 persone continuano a fuggire dagli scontri nelle roccaforti dell’Isis intorno a Deir Ezzour».

La caduta di Raqqa, dopo quella di Mosul in Iraq non mette fine a Daesh. Rende però più rapida la transizione, o il ritorno, di Daesh da Stato vero a proprio a gruppo armato autore di attacchi terroristici rapidi e letali, in un’area che presumibilmente comprenderà il confine tra Iraq e Siria e la vasta regione occidentale dell’Iraq di cui l’esercito di Baghdad non ha (ancora) ripreso il controllo. Daesh non è finito perché non sono mutate le condizioni che hanno favorito la sua ascesa, a cominciare dall’avversione della maggior parte dei sunniti in Iraq e in Siria nei confronti del governo sciita a Baghdad e di quello siriano guidato dal presidente alawita Bashar Assad. L’avanzamento di Daesh in Siria e Iraq non è avvenuto solo con l’esercizio della forza e della violenza ma anche grazie a solide alleanze con importanti esponenti sunniti e gruppi di potere locali.

Se in Siria Daesh passa dalla realtà alla clandestinità, i suoi rivali di al Qaeda al contrario consolidano le roccaforti territoriali, con la benedizione della Turchia di Erdogan e senza incontrare alcuna opposizione dagli Stati Uniti. La provincia di Idlib è saldamente nelle mani dei miliziani dell’ex Fronte an Nusra, il ramo siriano di al Qaeda, che nei giorni scorsi hanno anche fornito assistenza ai soldati turchi e ai loro alleati dell’”Esercito libero siriano”, nella nuova operazione militare lanciata da Ankara, ufficialmente contro Daesh ma in realtà con finalità anti-curde. Grazie ad an Nusra in Siria e al crollo di Daesh, al Qaeda sta vivendo una nuova stagione, quando appena tre-quattro anni fa sembrava condannata al declino. E all’orizzonte, un mese fa, è riapparso Hamza Bin laden, figlio di Osama, il fondatore di Al Qaida, con ogni probabilità destinato a prendere il posto dell’anziano Ayman Zawahri, il braccio destro e successore del padre.

Michele Giorgio

Il Manifesto

18 ottobre 2017

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