Normalità. O quasi


Padre Renato Kizito Sesana


I negoziati fra Governo e opposizione continuano. Sono ancora su posizioni molto distanti. Si teme che se non dovessero fare qualche passo avanti entro pochi giorni, una settimana, potrebbe scatenarsi un’altra manovrata ondata di violenza.


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Normalità. O quasi

La vita a Nairobi sembra assolutamente normale. Gli sfollati bisogna andarli a cercare, altrimenti sono invisibili, confinati in località precise dove ricevono aiuti. Koinonia e Africa Peace Point continuano a fare donazioni in generi alimentari e coperte, con il coordinamento della Croce Rossa.

Un amico mi ha fatto notare una cosa che non e’ normale nel traffico cittadino, soprattutto il primo mattino: c’e’ un numero molto più alto del solito di mkokoti – i carretti spinti a mano, che sono un’ attività dei ragazzi di strada – e di camioncini di tutte le dimensioni carichi di mobili. Il fatto e’ che molte famiglie si stanno trasferendo, non ritenendosi più al sicuro nella zona in cui vivono. I luo, che sono un minoranza a Riruta, quando rientrano a sera si trovano un bigliettino sotto la porta della baracca o della casa che dice “vai via di qui, non ti vogliamo più’. Lo stesso capita ai kikuyu di Kibera, o ai Kalenjin di Kawangware. Sembra, speriamo che non sia vero e che ci si fermi  in tempo, che Nairobi rischi di diventare un conglomerato di piccoli “bantustan”, la famigerata invenzione dell’ apartheid sudafricano. Un’ apartheid, una bantustanizzazione non imposta dall’ alto, ma volontaria, per modo di dire. Alcuni si rifiutano. Ieri i ragazzi di Kivuli delle pallacanestro si sono fermati per un breve incontro dopo l’ allenamento e, dopo aver riaffermato che nella loro squadra non devono esistere discriminazioni etniche, i  luo presenti hanno appunto raccontato di aver trovato gli infami bigliettini sotto la porta, ma di aver deciso con le loro famiglie di restare. “Siamo sempre vissuti senza dare una priorità’ particolare alla nostra appartenenza etnica, perché’ dovremmo incominciare ora?” Ci dovrebbero essere più’ keniani cosi.

Invece Charles, un ragazzo luo che fa il giardiniere alla Shalom House, e’ venuto mercoledi mattina, gli occhi gonfi da una notte insonne, a dirmi a dirmi che lo avevano chiamato dal villaggio al sera prima. Charles ha 21 anni ed e’ il capofamiglia, i genitori sono morti di AIDS, e col suo lavoro mantiene a scuola una sorella e un fratello minori che vivono al villaggio con dei lontani parenti. Dal villaggio gli hanno detto che la sorella e’ gravissima all’ ospedale perché’ un matatu su cui viaggiava e’ stato fermato ad un blocco stradale, tutti i passeggeri sono stati picchiati e poi derubati. Naturalmente Charles temeva che la sorella fosse stata stuprata, perché quest’azione sembra essere diventata comune. La settimana scorsa il Nairobi Women’s Hospital ha dichiarato di aver trattato 242 pazienti vittime di abusi sessuali, 213 femmine e 29 maschi. Deltotale 94 erano minori. Ho dato a Charles il permesso di assentarsi per 4 giorni perche andare a casa sua, una delle zone critiche durante l’ ultimo mese, ci vuole un giorno intero di viaggio.

Charles mi ha telefonato ieri, sollevato perché’ la sorella sta meglio, non e’ stata stuprata  e ancor più’ sollevato perché’ l’ attacco non era di natura etnica ma opera di semplici criminali che approfittano della confusione per operare impunemente.

Fonte: Blog di Kizito

09 febbraio 2008 

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