Nord Corea: condannate le due giornaliste USA


Junko Terao


Dodici anni di lavori forzati in uno dei campi di prigionia della Corea del Nord: è la condanna inflitta dalla Corte di Pyongyang alle due americane accusate di aver oltrepassato il confine tra Cina e Corea del Nord illegalmente. Merce di scambio pregiata, sulle due giornaliste e sulla loro liberazione si prepara un negoziato tra Usa e "Regno eremita". Che per Washington dovrà rimanere slegato dal "pacchetto nucleare".


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Nord Corea: condannate le due giornaliste USA

Se Washington alza la voce, Pyongyang risponde per le rime. Dopo settimane di alta tensione, la partita tra Corea del Nord e Stati Uniti si sposta su un terreno molto delicato. All'indomani della minaccia del Segretario di Stato Usa Hillary Clinton di reinserire il 'Regno eremita' nella black list dei Paesi sponsor del terrorismo, la Corte centrale nordcoreana ha condannato a dodici anni di lavori forzati le due giornaliste statunitensi arrestate il 17 marzo scorso dalle guardie di Pyongyang al confine tra Cina e Corea del Nord con l'accusa di aver varcato la frontiera illegalmente. La sentenza, che parla anche di “atti ostili” e di spionaggio, è arrivata al termine di un processo blindato durato cinque giorni. Nessun osservatore esterno ammesso, come riferisce l'ambasciatore svedese a Pyongyang, che ha verificato la sentenza con le autorità locali per conto degli Stati Uniti, privi di rappresentanti diplomatici in Corea del Nord.
A Washington la notizia è stata accolta con “estrema preoccupazione” dal presidente Barack Obama, appena rientrato dal suo tour euro-mediorientale. Il portavoce della Casa Bianca, Bill Burton, ha aggiunto che si sta lavorando attraverso “ogni canale” per ottenere la liberazione delle due giornaliste. E' abbastanza chiaro che il canale privilegiato per andare incontro alla clemenza di Kim Jong Il è quello degli aiuti o almeno di una negoziazione diretta con Washington. Oltre alla crisi politica interna, legata al braccio di ferro più o meno nascosto con i militari, il Paese è sull'orlo del collasso economico e di una probabile emergenza umanitaria durante il prossimo inverno: per questo ha più che mai bisogno di quegli aiuti che, dopo il secondo test nucleare ed altre provocazioni a colpi di missili a corto raggio, rischiano di diminuire. Gli Stati Uniti, che all'indomani del test del 24 maggio hanno scelto di non cedere alle provocazioni e di mantenere la linea dura, hanno ribadito che l'unica sede di confronto con Pyongyang è il tavolo dei colloqui a sei con gli altri interlocutori: Corea del Sud, Giappone, Cina e Russia. In termini di concessioni di fronte al nuovo ricatto di Pyongyang, è da vedere se e quanto saranno disposti a cedere.
Un po' come è stato per la giunta birmana il 'nuotatore pazzo' che ha messo nei guai la leader dell'opposizione Aung Saan Suu Kyi, le due giornaliste finite nella rete delle guardie nordcoreane sono per il Caro leader una manna caduta dal cielo, pregiata merce di scambio in tempi di ferri corti, musi duri e nuove sanzioni Onu all'orizzonte. Euna Lee, trentaseienne americana di origini coreane, e Laura Ling, sino-americana di 32 anni, nel marzo scorso stavano lavorando a un servizio sui rifugiati nordcoreani in Cina, nella zona vicina al confine tra i due Paesi, per Current Tv, l'emittente fondata da Al Gore nel 2005. Le circostanze in cui le due sono state arrestate sono tutt'altro che chiare: non è nemmeno sicuro che avessero davvero oltrepassato il confine e addirittura secondo alcune fonti sarebbero state condotte in territorio nordocoreano con la forza dai militari. E non si esclude che proprio l'ex vice presidente Usa possa partire alla volta di Pyongyang per provare a negoziare il rilascio delle due giornaliste. A quanto pare Washington avrebbe già offerto ai nordcoreani di mandare Gore o il governatore del New Mexico, Bill Richardson, già ambasciatore Usa alle Nazioni Unite e ministro per l'Energia durante l'amministrazione Clinton, con alle spalle un'esperienza simile che contribuì a portare a buon fine. Per Richardson gli Usa devono tener separate la questione nucleare e la condanna e “dovrebbero cercare di ottenere un perdono politico” delle giornaliste: “Ora è finito il processo legale e possono cominciare i negoziati politici”. Per ora sembra non sia arrivata nessuna replica da Pyongyang.
Il caso delle due giornaliste da marzo tiene in ansia la popolazione statunitense e la settimana scorsa le loro famiglie hanno parlato per la prima volta, rivolgendo un appello pubblico alle autorità nordcoreane e a quelle americane perché il caso non diventi uno strumento di negoziazione in questa fase di tensioni. Adesso gli occhi sono puntati sul Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che dovrebbe votare una risoluzione a favore di nuove sanzioni contro il “Regno eremita”. Se le previsioni dovessero essere confermate, la Corea del Nord ha già fatto sapere che “considererà le nuove sanzioni come una dichiarazione di guerra” e pare abbia già pronto un missile a lungo raggio da testare e altri a medio raggio che potrebbe puntare contro Giappone o Corea del Sud.

Fonte: Lettera22 e il Riformista

9 giugno 2009

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