L’america riscopre la politica. In tanti alle urne per sfidare la crisi


Vittorio Zucconi


Un dato spicca alla vigilia del supermartedì delle primarie per la Casa Bianca. La partecipazione dei cittadini non è mai stata così forte come per queste presidenziali.


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L'america riscopre la politica. In tanti alle urne per sfidare la crisi

NEW YORK – Non è più soltanto l'America, quella che oggi si muoverà per votare in 22 stati che in comune hanno spesso soltanto la bandiera e neppure più la lingua. È il mondo intero che attraverso queste 24 "nazioni" è rappresentato e che, anche a nome e per conto nostro, dovrà scegliere fra i quattro superstiti della corsa a eliminazione, Romney, McCain, Clinton e Obama e annunciare, a partire da quegli Stati Uniti che ci anticipano sempre tendenze e paure, la vitalità della politica sulla impotenza dell'antipolitica.

Più di 100 milioni di persone saranno coinvolte, dagli Hmong del sud asiatico ai nigeriani di Manhattan, dai Messicani di California agli ebrei hassidici di Brooklyn, dai calabresi del New Jersey gli scandinavi del Minnesota, in percentuali che mai si erano viste nella storia delle elezioni primarie.

Storicamente, a queste consultazioni di partito, non partecipa mai più del 15% dei potenziali elettori: in New Hampshire, in South Carolina, in Florida, si è scomodato per il voto il 50%, con percentuali inattese fra quei giovani fra i 18 e i 25 che la "politica politicante" considerava perduta. Sarà una battaglia che forse risolverà o forse ingarbuglierà ancora di più la lotta, soprattutto nel match fra Hillary e Obama, ma una risposta sicura darà: la democrazia di massa americana ha ritrovato la propria ragione di esistere perché ha trovato gli uomini e la donna per incarnare la speranza di uscire definitivamente dalla lunga notte di George W. Bush.

Raccontano con molto stupore i cronisti dei media sparpagliati lungo la rosa dei venti, e può confermare chi scrive nella piccola misura della propria esperienza personale, che persino domenica sera, mentre milioni di dollari in scommesse correvano sulle gambe dei giocatori della finale di campionato, il SuperBowl, e numeri mai registrati di telespettatori (95 milioni) erano sintonizzati, le discussioni avvinazzate sui Giants di New York e i Patriots di Boston si interrompevano, nelle taverne come nelle case private, per litigare sulle dubbie credenziali conservatrici del repubblicano McCain, sul fenomeno Obama ("ma tu voteresti davvero per un presidente nero?)" o sulla scarsa simpatia che il nome Clinton sollecita ("ma tu voteresti per una donna"?) soprattutto fra i maschi.

Aiuta a ritrovare la voglia di politica quell'ansia di una imminente stangata recessiva che già ha cominciato a fare sentire i morsi nella carne viva della quotidianità e che accomuna tutte le 170 etnie diverse che compongono anche soltanto i cinque borghi di New York. La casa. Basta navigare negli oceani monotoni dei sobborghi di tutte le grandi città, per vedere i relitti del naufragio immobiliare segnalati dai cartelli For sale, in vendita, o For rent si affitta. Le foreclosure, le riappropriazioni da parte dei creditori sono cresciute di quattro volte nel 2007 rispetto al 2006. Il 25% del portafoglio dei mutui immobiliari, secondo la Associazione Nazionale Banche, è prossimo all'insolvenza, o già insolvente: sono due mila miliardi di dollari (più della Finanziaria italiana) su un monte complessivo di 8 mila miliardi. Le imprese edili stanno fermando i cantieri: erano 31 anni che tanti "lavori in corso", il 17%, non erano stati sospesi o abbandonati. Dunque è lo stato dell'economia il polo sul quale punta la bussola degli umori della "nazione di nazioni".

L'80% degli americani indicano nell'economa la loro "principale preoccupazione", rilevano i grandi enti di ricerca demografica. E al secondo posto c'è la nausea per la "corruzione della politica", la madre di tutte le pulsioni antipolitiche nel mondo, un fattore "molto importante" per il 76% dei cittadini e la chiave per capire il successo di un candidato assai poco "repubblicano", ma noto per le sue battaglia contro i finanziamenti oscuri ai partiti (nonostante uno scandalo bancario nel quale fu coinvolto), John McCain.

Per trovare la "sicurezza nazionale" si deve scendere al terzo posto e, ancora meno persone, soltanto il 58%, giudica ancora "importante" per l'America l'esito di quella guerra in Iraq che sta ridando atroci segni di riaccensione dopo la bonaccia invernale. La sanità è al quinto posto, con la perenne questione della assicurazione negata o proibitiva per 47 milioni di americani e persino l'immigrazione clandestina, che sembrava il nodo cruciale della elezione in corso, turba soltanto il 50% degli elettori, al sesto posto. In fondo alla lista sta il dilemma "vita" o "aborto", che appena un terzo degli elettori, il 38%, segue con "qualche preoccupazione" come se l'America, anche la più appassionatamente e devotamente antiabortista, sapesse che questo, della legalità della interruzione volontaria di gravidanza, è qualcosa che appartiene ormai alla società civile, e non più alla morale.

Un mese fa, quando i primi cittadini si raccolsero nello Iowa per il loro rituale dei "caucus", i consigli, ci eravamo chiesti per "che cosa", piuttosto che "per chi" si sarebbe votato in questa eccezionale stagione politica 2008 e ora, dopo l'eliminazione di 16 dei venti speranzosi di allora, lo sappiamo. Votano per chi promette di cambiare la rotta. Come dimostrerà, proprio oggi, mentre la gente va a votare, la sfilata trionfale lungo la Quinta Strada della squadra di New York che ha vinto il campionato battendo gli strafavoriti avversari di Boston, questo è il tempo delle sorprese.

Fonte: Repubblica.it

(5 febbraio 2008)

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