Kosovo, i 10 anni di un Paese ancora diviso


Il Sole 24 Ore


Il 17 febbraio 2008, a dieci anni dalla guerra del 1998-1999 che fece 13mila vittime il Kosovo proclamò unilateralmente il distacco. La strada fatta e i problemi ancora aperti


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La Corea del Sud è uno dei 115 Paesi che riconoscono l’indipendenza del Kosovo e l’ingresso nello stadio di PyeongChang di quella bandiera blu, con al centro la sagoma del Paese più giovane d’Europa, è stato uno dei regali più belli di questo decimo compleanno: le sue prime Olimpiadi invernali. Affidate a un unico atleta, lo slalomista Albin Tahiri.

In realtà era stata la judoka Majlinda Kelmendi – medaglia d’oro a Rio due anni fa – a cominciare a scrivere la storia olimpica del Kosovo.

E ora, a Pristina in festa per i primi dieci anni di indipendenza dalla Serbia, parlando con Radio Free Europe Majlinda indica se stessa come «l’esempio migliore» di ciò che il Kosovo rappresenta per i suoi 1,8 milioni di abitanti: «Se sei determinato, se lavori duro qualunque cosa succeda, nulla ti può fermare».

Il 17 febbraio 2008, a dieci anni dalla guerra del 1998-1999, da più di 13mila vittime documentate, da 11 settimane di raid aerei della Nato su Belgrado e dal ritiro delle truppe serbe dalla loro provincia, il Kosovo proclamò unilateralmente il distacco. A partire dalla Serbia, ma includendo anche Grecia o Spagna o Russia, sono tanti i Paesi che ancora non lo riconoscono, e lungo sarà il cammino per arrivare alla porta dell’Unione Europea. L’inno nazionale non riesce ancora a darsi un testo condiviso, il Kosovo fatica a costruire istituzioni solide, l’economia non dà lavoro al 30% degli abitanti spingendone tantissimi a cercare un impiego lontano. E il 16 gennaio scorso a Mitrovica – città divisa – l’assassinio di Olivier Ivanovic, politico serbo-kosovaro, ha mostrato drammaticamente quanto sia ancora fragile il processo di riconciliazione tra le due anime del Paese, la maggioranza albanese (90%) e la minoranza serba (5%).

Ma nei giorni degli anniversari è giusto soffermarsi sulle cose positive, come dice Majlinda: ricordare la determinazione, la fiducia, la strada fatta.

Quella che resta da compiere passa anche da Bruxelles. Insieme alla Serbia, il Kosovo è nella pattuglia di Paesi balcanici candidati alla Ue – obiettivo 2025, e Bruxelles intende sponsorizzare un dialogo tra Belgrado e Pristina ricordando costantemente ai serbi che il riconoscimento del Kosovo e l’accettazione della sua indipendenza è condizione irrinunciabile per aderire all’Unione. Prospettiva ancora inaccettabile per la Serbia, che considera il Kosovo la culla della propria storia e della religione ortodossa, che sostiene finanziariamente i 120mila serbi kosovari e vede la soluzione del confronto in una spartizione, o comunque in una formula da sottoporre in un referendum agli elettori. «Se non ci sarà un compromesso – ha ribadito il presidente serbo Aleksandar Vucic in un’intervista alla Reuters – avremo un conflitto congelato per decenni. Non dovremmo lasciarlo da risolvere ai nostri figli».

A Pristina, il presidente Hashim Thaci è fiducioso che un’intesa «storica» con Belgrado sia raggiungibile entro un anno, aprendo al Kosovo le porte delle Nazioni Unite. Anche la Ue in qualche modo si porta avanti. Nei giorni scorsi ha annunciato la donazione di 38,5 milioni di euro per contribuire insieme alla Bers (la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ) e alla Bei (la Banca europea per gli investimenti) alla modernizzazione di una ferrovia di 148 km che collegherà il Kosovo alla Macedonia, verso sud, ma anche alla Serbia, a nord. «Un segnale di fiducia e di impegno dei nostri partner internazionali verso di noi», ha commentato il ministro delle Finanze del Kosovo, Bedri Hamza.

Tra i messaggi di saluto arrivati in questi giorni a Pristina, quello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Nel suo cammino verso l’integrazione europea, il Kosovo può contare sul sostegno dell’Italia».

 

Antonella Scott

Il Sole 24 Ore

17 febbraio 2018

 

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