Il Terzo settore? Vale il 4% del Pil


Famiglia Cristiana


Grazie all’impegno di molte persone, sempre motivato, in tanti casi anche gratuito, ha un giro d’affari annuo di circa 67 miliardi di euro. Una ricerca Fondazione UniCredit-Ipsos.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Il Terzo settore? Vale il 4% del Pil

Calcolare il valore sociale e, soprattutto, economico del Terzo settore in Italia è sfida quanto mai difficile: ha provato a dare una risposta efficace, seppur per certi versi inevitabilmente parziale, la ricerca presentata da UniCredit Foundation in collaborazione con Ipsos. Prima di entrare nel dettaglio, proviamo, se non altro, a inquadrare le linee guida dell’analisi per scoprire alcuni numeri “sensazionali”: sono oltre 650 mila, e la cifra è rivista senz’altro per difetto, le persone che lavorano nel Terzo Settore per un giro d’affari che ruota intorno ai 67 miliardi di euro (4,3% del Pil). Il campione intervistato, composto da 2.104 organizzazioni operanti nel non profit, è così suddiviso: il 39% sono organizzazioni di volontariato (odv), il 16% associazioni di promozione sociale (aps), il 19% cooperative o imprese sociali, mentre fondazioni, comitati, enti ecclesiastici e organizzazioni non governative pesano circa l’1% ciascuna.

I settori
L’insieme dei settori in cui operano le istituzioni non profit è davvero variegato: mediamente, ogni organizzazione opera in almeno due ambiti. Quelli prevalenti risultano essere il “culturale-ricreativo” (45,2%), l’assistenza sociale (41,7%) e la sanità (28,9%). Interessanti i rilevamenti effettuati sui destinatari delle attività: solo il 20% delle organizzazioni è rivolto in maniera esclusiva a persone in condizioni di svantaggio sociale; d’altro canto, il 78,6% del settore “produttivo” lavora massicciamente per favorire l’inclusione sociale. Tra le categorie in svantaggio sociale, buona parte delle attività delle organizzazioni non profit interessa i disabili (25,3%), i malati (19%) e gli extraconunitari (18,8%). Ai disoccupati è indirizzato l’11,2% delle “attenzioni”.

I settori
L’insieme dei settori in cui operano le istituzioni non profit è davvero variegato: mediamente, ogni organizzazione opera in almeno due ambiti. Quelli prevalenti risultano essere il “culturale-ricreativo” (45,2%), l’assistenza sociale (41,7%) e la sanità (28,9%). Interessanti i rilevamenti effettuati sui destinatari delle attività: solo il 20% delle organizzazioni è rivolto in maniera esclusiva a persone in condizioni di svantaggio sociale; d’altro canto, il 78,6% del settore “produttivo” lavora massicciamente per favorire l’inclusione sociale. Tra le categorie in svantaggio sociale, buona parte delle attività delle organizzazioni non profit interessa i disabili (25,3%), i malati (19%) e gli extraconunitari (18,8%). Ai disoccupati è indirizzato l’11,2% delle “attenzioni”.
Le cooperative sociali
Il 93,3% delle cooperative, nello svolgimento della propria attività di produzione ed erogazione di beni e servizi, ha partner economici o organizzativi: in particolare, Comuni (66%) e altre organizzazioni del non profit (45%). Dato curioso: per chi ha risposto al sondaggio, i maggiori concorrenti sul territorio sono altre organizzazioni non profit, segno di una lotta serrata anche in questo ambito. Inoltre, oltre un terzo delle cooperative sociali opera direttamente in concorrenza con aziende profit.
I volontari
Sono la vera forza trainante del Terzo settore: il 92,9% delle istituzioni intervistate ha dichiarato di avvalersi di personale non retribuito nelle sue varie forme (volontari, servizio civile volontario, ecc) a fronte di un 37,3% che impiega anche lavoratori retribuiti. Il 98% si caratterizza per la presenza di associati che mettono a disposizione il loro tempo per il perseguimento degli obiettivi. La forza lavoro femminile primeggia nelle istituzioni “produttive”: un 62,3% che inverte completamente la tendenza di un Paese in cui la netta maggioranza dei lavoratori sono uomini. L’indagine evidenzia anche un’ampia presenza di lavoratori laureati, comunque superiori al 40% del totale.
I contratti
La maggior parte dei lavoratori retribuiti impiegati nel Terzo settore è assunta con contratti a tempo indeterminato (48%); i collaboratori a occupazione prevalente sono il 34,9%; residuali i contratti a tempo determinato, appena il 10,8%. Da una lettura attenta dei dati si rileva che negli ultimi tre anni il 67% dei contratti di collaborazione è stato rinnovato, il 16,4% è cessato, mentre il 16,6% è stato convertito in un contratto di lavoro dipendente (4,6% a tempo determinato, 12% a tempo indeterminato). Riguardo alle mansioni, il personale retribuito svolge per lo più funzioni tecniche-operative (56,1%) mentre l’11,7% si occupa dell’amministrazione: i dirigenti sono il 5,3%. Il 20,5% svolge infine funzioni ausiliarie, cioè operai, portantini, autisti, addetti alle pulizie ecc.
Il personale non retribuito
Come detto, costituisce il fulcro del Terzo settore: basti pensare che il 37,6% delle istituzioni intervistate dichiara di impiegare tra i 16 e 50 addetti non retribuiti, il 24% tra i 7 e i 15 e il 24,8% oltre 50. Cifre davvero notevoli in un contesto a cui si aggiunge il dato in base al quale i volontari sono presenti nel 90,4% delle istituzioni: di questi, il 40,6% dedica all’organizzazione almeno 5 ore alla settimana, il 23% ne presta 4 per un totale garantito di 63,6%. Per quantificare l’impatto economico del volontariato è stato chiesto agli intervistati di ipotizzare il numero di persone retribuite da inserire stabilmente nell’organizzazione (full time: 40 ore settimanali) per ricoprire le attività attualmente svolte dai volontari presenti. In questa logica, nelle organizzazioni cosiddette di advocacy (come le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale), per sostituire un lavoratore full time mediamente servono 5 volontari, nelle istituzioni produttive 7. In media i volontari svolgono sei volte il lavoro del personale retribuito presente.
La soddisfazione del personale
Detto che per quanto concerne questa misurazione i dati a disposizione sono probabilmente inferiori alle attese, è emerso che poco meno del 90% delle organizzazioni che svolge questo genere di indagini riferisce che più del 60% del personale si dichiara soddisfatto. Addirittura, nel settore produttivo il 95% delle organizzazioni registra alti tassi di soddisfazione del personale, segno che nonostante contratti mediamente più bassi rispetto a quelli nazionali del mondo profit, si può trarre felicità da altre forme di incentivo intangibili e motivazionali.
Il fund raising
Risorsa dalle enormi potenzialità, il fund raising rimane per ora ancora un fenomeno di nicchia nel Terzo settore: solo il 17,4% delle organizzazioni intervistate, per lo più di grandi dimensioni, dichiara la presenza di una struttura interna specificamente dedicata. Le campagne di raccolta fondi sono “sfruttate” in maniera saltuaria, dirette per lo più a venire incontro a un’emergenza o concentrate in alcuni specifici momenti dell’anno: il 18,1% ha comunque detto di svolgere tale attività spalmata per tutto l’arco dell’anno.
 
Fonte: http://www.famigliacristiana.it
24 Aprile 2012
CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento