Guerra, Pace e Internet


Santo Della Volpe - articolo21.org


E’ bastata la libera comunicazione, Internet e Twitter, i telefoni cellulari ed i Blog, per aprire gli orizzonti… Ora è tempo che la diplomazia internazionale si metta al lavoro in modo stringente, da subito.


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Guerra, Pace e Internet

Durante la Guerra del Golfo, nell’ormai lontano 1991, ogni discussione sulla democrazia con i nostri “censori” (gli uomini dei servizi segreti che seguivano, letteralmente, i giornalisti) finiva sempre  con la stessa frase: “noi arabi siamo diversi, qui abbiamo bisogno di dittatori e condottieri, non siamo e non  saremo mai come voi Occidentali”. Era una scusa per  giustificare il potere sanguinario di Saddam Hussein e l’assenza di democrazia in Iraq. Un giorno uno dei vari “mukhabarat”, più aperto di altri e che parlava spagnolo, aggiunse pensoso:”chissà cosa dovrà accadere e quanti anni ci vorranno prima che si possa parlare di democrazia nei paesi arabi”. E sembrò una grande apertura mentale e politica.

Sono passati 20 anni esatti da allora: non ho più visto quell’uomo, Maruan, e la sua famiglia (si dice che sia scappato in Inghilterra, ancora sotto il regime di Saddam; speriamo….). Ma oggi, di fronte alle rivoluzioni e rivolte  democratiche nel Nord Africa ed in altri paesi arabi sono arrivate le prime smentite e risposte a quel comodo ragionamento: c’è voluta una generazione e mezza ed è bastata la libera comunicazione, Internet e Twitter, i telefoni cellulari ed i Blog, per aprire gli orizzonti,in quello spazio metafisico che è il Web dove la censura non è possibile, dove la libertà non è concetto astratto ma quel che Nelson Mandela definiva come libertà, esattamente “ciò che  i governi possono o non possono fare”. Perché  “il termine libertà abbraccia tutte le regole ed i limiti che governano la politica,la giustizia, l’economia e la religione”. E dove non c’è , la libertà si cerca perché è possibile ed è visibile in molti paesi del mondo, non più nell’aldilà paradisiaco promesso dal fondamentalismo religioso oppure  ai cosiddetti ‘martiri’ dai maestri del terrorismo islamico. Semplicemente la libertà era visibile dall’altro capo del computer o dall’altra parte del Mediterraneo o dell’Oceano Atlantico, là dove addirittura un ‘nero’ era stato eletto presidente degli Stati Uniti…: “perché io qui posso parlare liberamente per strada  e nel mio paese no?”  chiedeva ad un giornalista Rai un giovane tunisino alcune settimane fa.  Una domanda che sottintendeva una richiesta di cittadinanza piena: esattamente quello che i regimi dittatoriali tunisino, egiziano, yemenita,siriano  e soprattutto libico, hanno negato per decenni, facendo saltare “i coperchi” personali, sociali, politici; la rivolta giovanile, la ribellione che ha mantenuto carattere pacifico e non violento (in Tunisia ed in Egitto,in particolare), sino a quando non è subentrata una repressione armata sanguinaria ed estrema. Esattamente quello che è successo in Libia, dove Gheddafi ha annunciato in Televisione la sua intenzione di uccidere, letteralmente far fare la fine dei topi, a tutti coloro che si  sono ribellati.
E’ qui che si pone il problema, nostro Occidentale, nostro pacifista, nostro democratico. Innanzitutto  va detto che il cambiamento epocale che avviene in questi paesi arabi smentisce ancora una volta l’illogica  e spergiura guerra in Iraq di Bush e soci; là si invase una nazione guidata da un tiranno che  si era lasciato governare sotto  embargo(provocando immensi sacrifici della popolazione) con la presunzione di portare la democrazia dal di fuori, pensando che quel popolo fosse incapace di ribellarsi, quando  nel 1991 lo si era lasciato da solo a morire di fronte alla repressione di Saddam. Queste rivolte dimostrano invece che la democrazia era ed è possibile  che nasca da dentro le singole nazioni e sulla spinta delle generazioni giovanili.

Per anni e decenni i governi occidentali hanno preferito non vedere questi giovani (che, lo ricordiamo, in paesi come la Tunisia o l’Egitto sono il 60% della popolazione, quindi il futuro di quelle nazioni…), ignorando le loro richieste di cittadinanza: i governi, e soprattutto il nostro guidato da un plurisettantenne ignorante in materia quanto arrogante, non hanno voluto leggere ciò che accadeva nei Blog e sul Web, preferendo fare gli affari con i dittatori baciando loro le mani. Non hanno voluto usare la politica per chiedere che in quei paesi si sviluppasse il diritto di cittadinanza e la democrazia, preferendo  la comoda  e pigra riflessione del mio “mukhabarat” iracheno di 20 anni fa: i dittatori? Sono inevitabili, tanto vale farci affari, con tende nei parchi e cavallerizze, hostess e parate militaresche, usarli per il loro petrolio e utilizzarli per trattenere  gli immigrati ed i profughi, ossessione stupida e paurosa di un gruppo di politici  guidati dalla Lega Nord (inefficienti quanto arroganti), incapaci di governare il presente italiano, figurarsi il futuro del Mediterraneo.  Quel futuro che ci aspetta e coinvolge tutti noi, dove i giovani Nord Africani avranno in mano il lavoro e lo sviluppo dei loro paesi ed anche, in parte, dei nostri, visto l’andamento demografico e del mercato del lavoro. Quelle nuove classi dirigenti arabe che  vogliono democrazia  e libertà per  aumentare la distribuzione sociale delle ricchezze che inevitabilmente venderanno a noi  occidentali, semplicemente perché noi siamo la maggioranza dei consumatori: e che quindi ci converrebbe aiutare nelle loro ribellioni, anche  solo guardando egoisticamente al nostro futuro; seguire nelle loro richieste di governo e cittadinanza attiva, perché dalle loro democrazie, poi tutti potremo averne giovamento politico ed economico, per la pace e la sicurezza nel Mediterraneo e nella gestione delle fonti energetiche. Anche solo per questi motivi dovevamo prima e dobbiamo ora aiutare quei popoli nella ribellione ed offrire loro una sponda, una assistenza in casa propria ed ospitarli quando fuggono e vengono da noi. Perché l’ospitalità non si dimentica: chi oggi accoglie verrà ripagato in seguito, chi oggi aiuta troverà le porte aperte quando ci sarà bisogno di governare  il mondo per il benessere comune e diffuso. Già questo basterebbe per accogliere e non respingere gli immigrati: per umanità, solidarietà, amicizia e comprensione.  Ed anche questo impone una riflessione sul presente dei rapporti con i paesi in rivolta e del futuro del dopo rivoluzione nei paesi arabi in movimento.

L’obiezione  più logica è oggi la più diffusa nei Blog e sul Web. Sino a ieri abbiamo baciato le mani a Gheddafi ed oggi lo bombardiamo? Che legittimità ha oggi la guerra in Libia quando sino a ieri non si è mai fatto nulla per affermare la libertà ed il diritto alla democrazia in quel Paese? Non c’era una modo per  risolvere la guerra civile in Libia senza usare i missili e le bombe? Per un pacifista convinto sono domande difficili: e bisogna  subito dire che la responsabilità di questo governo è totale. Hanno dimostrato inefficienza e incapacità politica, tale da far pensare che l’unica cosa da augurarsi è che, senza idee e progetti come sono, se ne vadano al più presto. Balbettanti in politica, senza un accenno  di posizione internazionale che proponga prospettive. Lontani anche da gli altri paesi intervenuti in Libia, messi in mezzo (i nostri ministri) solo perché geograficamente l’Italia  non può essere emarginata.

Ma, tornando al mondo dei veri “responsabili”  la pace “senza se e senza ma” deve fare i conti con la situazione sul terreno, pratica e dolorosa, di una guerra dove da una parte c’è un dittatore che spara con i carri armati sul suo popolo usando milizie mercenarie e dall’altra rivoltosi che chiedono democrazia e libertà, con fucili e razzi per difendersi,armati male e soggetti a bombardamenti. A quel punto, in Libia si doveva lasciare che i giovani in rivolta di Bengasi fossero spianati ed uccisi, uno per uno, migliaia e migliaia di vittime per colpa dell’inerzia delle democrazie occidentali? Quelle stesse che poi, avendo lasciato che Gheddafi avesse fatto piazza pulita, sarebbero tornate a fare affari con il dittatore, a prenderne tranquillamente gas e petrolio arricchendo la sua oligarchia sanguinaria? E che contraccolpo avrebbe avuto nelle altre nazioni in rivolta, tra i giovani che ora chiedono in Siria libertà e democrazia?  

La risposta mi è arrivata da molti amici : più poteri all’Onu, più sanzioni al dittatore, una politica stringente che  bloccando gli affari petroliferi, di armi ed immobiliari, chiudesse Gheddafi in una morsa dal quale poteva uscire solo andandosene. Sono abbastanza convinto, vista l’evoluzione della repressione in Libia,che Gheddafi non si sarebbe spaventato, né che avrebbe mai lasciato il potere con questi mezzi: ma, soprattutto, nonostante quegli ipotetici esclusivi metodi politico-diplomatici, gli “ shabab”(i rivoltosi libici) sarebbero stati sconfitti ed eliminati, Bengasi occupata e rastrellata casa per casa, a riflettori mediatici spenti, nel silenzio della repressione. Una nuova terribile Srebrenitza, con l’ONU impotente a guardare per magari ritirarsi nelle discussioni nel Palazzo di Vetro, lasciando dietro di sé una scia di morte civile, di persone e di speranze.

Ed ora che fare?  Per rispondere a questa domanda bisogna pensare al futuro, immediato e più lontano: Papa Benedetto XVI lo ha visto prima di altri, quando all’Angelus di domenica 27 marzo si è rivolto a “tutte le parti”  chiedendo “l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi”. Quindi, prima il dialogo, la trattativa, chiede il Papa, non a caso in sintonia con  l’unico paese musulmano della Nato, la Turchia. Un dialogo che sospenda poi la guerra. Dopo.

Ma per aprire una trattativa c’è bisogno che Gheddafi lasci il potere, vada in esilio e che si avvii un governo di transizione democratica, verso la conciliazione nazionale, sullo stile di Nelson Mandela, quando divenne presidente del Sudafrica. Come costringere Gheddafi a lasciare? Certo con la politica e la pressione internazionale, più che con le armi. Perché le armi chiamano altre armi, perché l’ombrello Nato non può durare  per mesi, per non incancrenire  scontri tribali e vendette. Ma anche  perché ora, quando gli insorti arriveranno al confine cioè tra Cirenaica e Tripolitania, c’è il rischio che la rivolta diventi vera guerra civile,dove le tribù della Tripolitania si possono schierare contro le tribù della Cirenaica; quindi civili contro civili, esercito contro esercito, libici contro libici. A quel punto la posizione della Nato e del gruppo di contatto dei paesi potrebbe diventare imbarazzante, si rischia  di uscire dal mandato della risoluzione 1973 dell’Onu.

Quindi ora  è tempo che la diplomazia internazionale si metta al lavoro in modo stringente, da subito. Per mandare via Gheddafi e famiglia, i ministri compromessi con la repressione della rivolta e delle libertà. Insomma che si vada alla costituzione di un governo   deponendo così le armi da tutte le parti.  
Ma  guardando al futuro in modo  più lungimirante, è ormai ora che i governi europei, soprattutto l’Italia, mettano in campo un vero programma di ricostruzione  e di  sviluppo democratico che coinvolga tutta  la riva sud del mediterraneo, dal Medio Oriente sino al Marocco.

Non solo un nuovo “Piano Marshall” europeo per favorire  una forma di sviluppo ecologicamente sostenibile e tale da dare prospettive alle migliaia di giovani nord africani e mediorientali. Ma che dia sbocco a questo nuovo diritto di cittadinanza  chiesto dai popoli arabi: pane e libertà, Costituzioni laiche , scambi culturali, fabbriche e turismo, cinema e teatro, archeologia ed agricoltura, pesca sostenibile e lotta alle illegalità diffuse, Università e scuole. Una strada che  Romano Prodi ha già indicato poco tempo fa quando ha proposto all’Unione Europea la strada, non tanto di allargamento verso il Nord Africa quanto di  una sorta di “gemellaggio” tra Stati, economie e culture così vicine. Ma per fare questo c’è bisogno di un governo che guardi lontano, che non abbia solo l’ossessione dell’immigrazione vista con gli occhi della paura e del timore che il mondo cambi. Tanto sta già cambiando: ed ora deve cambiare la nostra mentalità e,soprattutto, questo governo italiano che appartiene al secolo scorso.

Fonte: Articolo21

29 marzo 2011

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