Clima, pesa l’immobilismo di Washington e Pechino


Francesco Martone


CANCUN. Conferenza dell’Onu sull’effetto serra. Poche le novità a causa del disaccordo tra le due potenze mondiali. Stanziati finora solo 8 miliardi di dollari sui 30 annunciati lo scorso anno a Copenaghen.


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Clima, pesa l’immobilismo di Washington e Pechino

Un anno è passato dal vertice Onu sul clima di Copenhagen, quando si consumò uno strappo che finora solo in parte è stato possibile ricucire. Complici del sostanziale fallimento di allora furono la doppiezza del governo danese, prono agli interessi degli Stati Uniti; il decisionismo di un Barack Obama ancora in testa nei sondaggi di popolarità; il basso profilo scelto dall’Unione europea e l’adozione di un accordo non vincolante, perseguito con modalità poco inclusive e trasparenti. Da allora l’irrigidimento delle posizioni di Stati Uniti e Cina ha di fatto condizionato ogni possibile passo in avanti. E ormai da settimane i media internazionali preannunciano un risultato di basso profilo anche per l’imminente vertice sui cambiamenti climatici che si svolgerà a partire da domani a Cancun, in Messico, fino al prossimo 10 dicembre.
 
La Cop 16 (dal numero di conferenze delle Nazioni unite sul clima svolte finora) dovrebbe essere per lo più incentrata su misure concrete verso i paesi maggiormente vulnerabili al cambio climatico, riponendo ogni aspettativa per un accordo vincolate sulla riduzione di emissioni di gas serra e la stabilizzazione della temperatura globale al 2011, quando i governi si riuniranno a Durban, in Sudafrica. E così nell’ultimo incontro preparatorio di Tianjin tenutosi ai primi di ottobre è continuato lo scontro tra Usa e Cina. La Cina chiede – anche per conto dei G77 – denaro e un impegno chiaro a rispettare i vincoli di Kyoto per i paesi che hanno ratificato quell’accordo, estendendo il regime vincolante anche agli Usa. Washington – a maggior ragione dopo la batosta elettorale subita da Obama – si presenterà con un pacchetto di proposte leggerissime. Ad oggi dei 30 miliardi di dollari annunciati a Copenhagen per il periodo 2010-2012 solo 3 sono stati effettivamente stanziati per programmi di adattamento e circa 5 per la protezione delle foreste.
 
Per avere un’idea delle proporzioni, si calcola che dal 2012 siano necessari per lo meno 100 miliardi di dollari l’anno. Cifre che a fronte delle spese militari globali sembrano quasi irrisorie: solo in Italia per l’acquisto di un centinaio di cacciabombardieri F35 si brucerebbero 15 miliardi di euro mentre la spesa militare globale viaggia intorno al trilione e passa di dollari. Il dossier “foreste” potrebbe essere l’unico possibile passo in avanti a Cancun. In verità su questo quasi tutti sono d’accordo sul fatto che Redd (Reduced emissions from deforestation and degradation) potrebbe rappresentare la soluzione ideale: pochi impegni di spesa, per sostenere meccanismi di assorbimento dei gas serra, senza necessariamente ridurli nei paesi ricchi, e in cambio denaro per ripagare i paesi tropicali per le entrate cui dovranno rinunciare per proteggere le loro foreste. Redd rischia di essere però il topolino partorito dalla montagna, in attesa di tempi migliori verso il prossimo vertice di Durban.
 
Certo è che senza un riconoscimento della centralità della tutela della biodiversità si rischia di sostenere la sostituzione di foreste vergini in piantagioni, magari di biofuel. E senza un vincolo sui diritti umani e dei popoli indigeni si rischia di scatenare una corsa all’oro verde ed alle terre indigene da parte di governi ed imprese. Mentre grazie ai permessi di emissione generati da Redd i paesi industrializzati e le imprese potranno continuare ad inquinare. Anche Redd potrebbe cadere nella tagliola dei veti incrociati. Fino a qualche settimana fa si ipotizzava che Cancun potesse produrre una serie di decisioni per azioni concrete, incluse quelle sulle foreste, struttura del fondo climatico, trasferimento di tecnologie, adattamento e monitoraggio dei programmi di mitigazione. Ora si propende per un unico documento equilibrato, come da richiesta americana. Tutto o nulla: questa è la posta in gioco a Cancun.

Fonte: Terra

novembre 2010

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