Guai in Siria, bombe in Libano


Lorenzo Trombetta


L’attentato, nel quale sono rimasti feriti sei caschi blu italiani, giunge mentre nella vicina Siria, il regime di Damasco accusa “terroristi”, “salafiti” e “infiltrati” dal Libano, di esser dietro le violenze scoppiate in coincidenza con le proteste anti-regime in corso da oltre due mesi.


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Guai in Siria, bombe in Libano

Manca solo la firma sul pacco regalo confezionato dai soliti ignoti “estremisti islamici” contro il convoglio logistico dell’Unifil, la missione Onu nel sud del Libano. L’attentato, nel quale sono rimasti feriti sei caschi blu italiani, giunge mentre nella vicina Siria, il regime di Damasco accusa “terroristi”, “salafiti” e “infiltrati” dal Libano, di esser dietro le violenze scoppiate in coincidenza con le proteste anti-regime in corso da oltre due mesi.

Nelle prossime ore o al massimo nei prossimi giorni un comunicato video o testuale potrebbe apparire su Internet per rivendicare l’attentato a nome di un’oscura sigla del jihadismo internazionale. Il Libano, si sa, è da sempre territorio che accoglie ogni fazione, ogni gruppo, ogni cellula “terroristica”, ed è anche conosciuto per essere un luogo di scorribande dei servizi di sicurezza delle potenze regionali, a cominciare da quelli di Siria e Israele, i due ingombranti vicini. Chiunque quindi potrà attribuire a quello o a quell’altro attore l’attentato contro i soldati italiani, ma è più che sospetto il momento scelto per eseguirlo.

Da quando l’Unifil, presente nel sud del Libano dal 1978, è stata rafforzata nell’autunno 2006 in seguito alla guerra tra Hezbollah e Israele, la minaccia maggiore a cui sono stati esposti i caschi blu di 33 nazioni diverse (il contingente italiano è ancora oggi quello più numeroso con circa 1.800 militari) sono finora gli attentati dinamitardi.

Nel giugno 2007, nella piana di Khiyam, nell’area di responsabilità della missione Onu, sei colombiani del contingente spagnolo persero la vita in una violenta esplosione causata da un ordigno azionato a distanza in una regione notoriamente controllata palmo per palmo dal movimento sciita filo-iraniano e alleato della Siria. Dalle indagini condotte da Madrid e da Beirut, emerse che uno sconosciuto gruppuscolo fondamentalista ispirato ad al-Qaida era l’autore dell’attacco. Anonimi terroristi qaedisti sono stati tirati in ballo anche quando il 16 luglio dello stesso anno, un’auto di caschi blu della Tanzania fu investita da una lieve esplosione a pochi km da Tiro, porto meridionale del Libano feudo del partito filo-siriano Amal e di Hezbollah. Il 1 agosto 2008 un mezzo militare su cui erano a bordo soldati Unifil irlandesi fu colpito da un’altra esplosione che ferì in modo lieve i militari. La pista fondamentalista fu in quel caso l’unica ipotizzata.

Che poi è la stessa di quando a più riprese, dal 2006 al 2008, ignoti gruppi armati hanno lanciato, a partire da zone all’interno dell’area di responsabilità dell’Unifil (dal fiume Litani a nord alla Linea Blu a sud) dei razzi katiuscia in direzione dell’Alta Galilea israeliana, alcuni riuscendo a superare la Linea Blu, altri colpendo campi agricoli nello stesso libano. Hezbollah e le autorità di Beirut in quei casi hanno sempre puntato il dito contro gruppi palestinesi non controllati da Fatah o da Hamas. Quindi “cani sciolti” che però come per magia posseggono le chiavi di accesso a una delle zone più controllate del Medio Oriente, dove è pressoché impossibile persino scattare una foto senza esser bloccati da (nell’ordine), civili di Hezbollah, soldati libanesi, caschi blu dell’Onu.

Questi ultimi sembrano comunque utilizzati sempre come cassette postali, a cui recapitare ai paesi occidentali messaggi urgenti da leggere. L’ultima lettera sembra esser diretta a coloro che a Bruxelles, a Washington e a New York stanno alzando la voce contro il regime di Damasco per gli oltre 1.100 civili uccisi in dieci settimane di manifestazioni.

Fonte: Il Mondo di Annibale

28 maggio 2011

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