Gli Usa sul Medio Oriente: un piano in quattro mosse


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


L’inviato di Obama in Medio Oriente ha portato ai suoi interlocutori un piano in quattro mosse che la Casa Bianca ha messo a punto per realizzare quella pace che molti presidenti Usa hanno inseguito.


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Gli Usa sul Medio Oriente: un piano in quattro mosse

Le coordinate di “una pace possibile” sono state tracciate. A illustrarle al presidente dell’ Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen), è stato Gordon Mitchell, l’inviato speciale per il Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. È il “piano Obama” per una “soluzione duratura e globale” del conflitto israelo-palestinese.
A rivelare a l’ Unità gli assi portanti del piano è, con richiesta di restare anonimo, uno dei più stretti collaboratori di Abu Mazen.
Il “piano Obama” rappresenta una svolta strategica nell’ approccio americano al dossier mediorientale. Perchè va ben oltre l ‘enunciazione del principio dei due Stati, mettendo in campo una azione a tutto campo, cha va dalla politica al militare, dalla diplomazia all’ economia. Il “piano Obama” punta a coinvolgere altri partner arabi che la diplomazia statunitense considera fattori decisivi per un processo di stabilizzazione del Medio Oriente: si spiega così l’ apertura alla Siria e, cosa non meno significativa, l’ avvicinamento dell’ amministrazione Obama alle posizioni assunte da alcuni Paesi europei per ciò che concerne un’ altra questione cruciale: il coinvolgimento di Hamas in un negoziato (in una prima fase indiretto) che non si limiti al rafforzamento del cessate il fuoco a Gaza, ma che, passando per la ricostruzione della Striscia, finisca per tirar dentro Hamas, o quanto meno esponenti della sua ala più pragmatica, ad una trattativa che porti alla nascita dello Stato indipendente di Palestina. Le prove di disgelo avviate dagli Usa con la Siria di Bashar el Assad –i cui legami con Hamas palestinese ed Heezbollah libanese sono acclarati- vanno letti anche in questa chiave: avviare un dialogo con Hamas attraverso quei regimi arabi (come quello baathista siriano) che con il movimento islamico palestinese intrattengono rapporti di particolare collaborazione (un discorso che, in una prospettiva ravvicinata, potrebbe riguardare anche l’ Iran).
Sono quattro gli assi portanti del “piano Obama”. Ognuno dei quali investe nodi strategici del conflitto israelo-palestinese. Primo asse: la creazione di uno Stato palestinese demilitarizzato con stazionamento di forze americane internazionali (sul modello Unifil 2 nel Sud Libano) a garanzia della sicurezza e dei confini.
Secondo asse: compensazioni per il mancato ritorno dei profughi palestinesi.
Terzo asse: un accordo sullo status di Gerusalemme come “città aperta”.
Quarto asse: frontiere del 1967 con scambi territoriali negoziati”.
“Obama sa bene che il tempo in Medio Oriente non lavora per la pace e che occorre affrontare con decisione e da subito tutte le questioni dirimenti. La logica del rinvio, che sottintendeva gli accordi di Oslo-Washington, si è rivelata tragicamente fallimentare”, dice a l’ Unità Shlomo Ben Ami, ministro degli Esteri (laburista) ai tempi (luglio 2000) dei negoziati di Camp David.
Nell’ immediato, e come segno tangibile del sostegno americano alla leadership di Abu Mazen, Washington ha portato i finanziamenti per l’addestramento (in Giordania) delle forze di sicurezza dell’ Anp dai 75 milioni di dollari del 2008 ai 130 per il 2009. Così come si intensificano le pressioni della nuova amministrazione americana, accanto a quella dell’ Unione Europea, contro la politica israeliana degli insediamenti, in particolare nell’ area attorno a Gerusalemme.
A scriverlo ieri con evidenza è Haaretz, il giornale progressiste israeliano, secondo il quale Washington –attraverso canali riservati- ha trasmesso nelle ultime settimane quattro diverse proteste formali alle autorità israeliane, su altrettanti episodi controversi. La sensazione, secondo una fonte governativa israeliana, definita “di alto livello” da Haaretz, è che “la questione (degli insediamenti) sarà uno dei temi principali dell’ amministrazione Obama”, nel dossier bilaterale, “nelle prossime settimane e mesi”. “E non sarà facile dissentire con loro” da parte del nuovo governo in via di definizione in Israele guidato dal leader del Likud, Benyamin Netanyahu”.

Fonte: L'Unità 

9 marzo 2009

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