Giustizia per Soumayla, la rabbia dei migranti


la Repubblica


“Siamo qui per lavorare, ma ci trattano come animali”. Lo sciopero dei braccianti dopo l’uccisione del sindacalista. Il presidio diventa un corteo spontaneo verso il Comune.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
corteosanferdinando

Ore di tensione alla tendopoli di San Ferdinando (in provincia di Reggio Calabria), scossa sabato sera dalla morte di Soumayla Sacko, il migrante maliano di 29 anni ucciso da una fucilata mentre con due connazionali tentava di portar via delle lamiere da una fabbrica dismessa. Lo sciopero generale convocato dall’Usb ha avuto successo: nessuno stamattina si è presentato agli svincoli dove i caporali scelgono quotidianamente a chi ‘regalare’ una giornata di lavoro. Ma a molti l’assemblea convocata oggi per discutere come reagire all’omicidio di Soumayla non basta. Vogliono scendere in piazza subito. Vogliono mostrare il loro dolore, il loro sdegno, la loro rabbia.

 “CI AMMAZZANO COME ANIMALI”
Chiusa da un cordone di polizia la vecchia tendopoli è inaccessibile. Dietro le volanti un gruppo di migranti mostra cartelli, grida slogan. “Se anche Soumayla fosse andato a rubare, e non lo stava facendo, perché quell’uomo non ha chiamato la polizia?”, dice un ragazzo che mostra un cartello ricavato con un pezzo di cartone che chiede giustizia. “Noi – dice un altro, giovanissimo – siamo qui per lavorare. Ma ci ammazzano come animali, ci picchiano, ci maltrattano solo perché siamo africani”.

Compatti, i braccianti chiedono che la stampa entri in tendopoli, capisca in quali condizioni siano costretti a vivere. Ma la polizia fa muro. “Per adesso non è sicuro. È meglio di no”. I fuochi che ieri sera sono stati accesi per protesta – un paio di cassonetti dati alle fiamme, subito spenti dai vigili del fuoco – non ardono più da ore. Gli animi invece continuano ad essere caldi. “Salvini razzista, la colpa di tutto questo è tua” gridano. “Se Soumayla è morto è perché c’è chi pensa e dice che siamo solo animali, ma senza il nostro lavoro la Piana è ferma, nei campi non lavora nessuno” dicono. Ed è vero. Nei frutteti e nelle piantagioni dell’area oggi nulla si muove. La delegazione dell’Usb arrivata da Roma cerca di calmare gli animi. Il presidio diventa un corteo spontaneo diretto a San Ferdinando, davanti al Comune. Cartelli improvvisati, striscioni, qualche bandiera dell’Usb. “Basta razzismo”, urlano.

Il corteo sfila veloce per le strade. Compatto, arrabbiato. Agli automobilisti che si fermano per farlo passare gridano contro la loro disperazione. Qualcuno li insulta, li provoca. In una terra schiacciata da clan feroci, per molti il problema sono “i niri”. Da anni sono loro le braccia che portano avanti l’agricoltura nella Piana, ma per molti continuano ed essere “persone sgradite” perché nella culla della disoccupazione ogni mollica diventa preda contesa. “Gli aiuti vanno sempre tutti a loro, a noi italiani mai. Qui c’è fame, cosa vengono a fare qui?”, dice un trentenne da dietro la porta di un bar che è stato lesto a chiudere al passaggio del corteo. “Adesso viene Salvini e lo risolve lui ‘sto problema”, urla un anziano.

A Rosarno e dintorni la Lega ha preso oltre il 13 per cento senza mai parlare di ‘ndrangheta, ma concentrando la propria propaganda contro i migranti. Ma non tutti si sono fatti convincere dai suoi slogan. “Qui si sta solo cercando di alimentare una guerra fra poveri che distragga dai reali problemi – spiega una ragazza che guarda sfilare il corteo dall’utilitaria scassata con cui sta andando a lavoro – se a questi ragazzi venissero fatti contratti come si deve, se vivessero in case decenti e non in baracche non ci sarebbero di questi problemi. Anzi, questa terra ne guadagnerebbe”.

“PER NOI LA PACCHIA NON ESISTE”
Aurelio Monte, dirigente Usb Calabria, non ha dubbi: “Qualcuno qui ha interesse a creare un clima di razzismo” . Lo spiega al megafono anche Aboubakar Soumahoro, dirigente sindacale dell’Usb arrivato da Foggia, dove i braccianti questa mattina hanno incrociato le braccia in solidarietà con la comunità della Piana: “A Salvini vogliamo dire che la pacchia è finita per lui, perché per noi la pacchia non è mai esistita; per noi esiste il lavoro. Sappiamo che in Calabria esiste gente che ricorda il proprio passato di migrante. Noi siamo lavoratori, italiani, africani, bianchi, neri e gialli. Abbiamo lo stesso sangue e vogliamo gli stessi diritti”

È lui a guidare la delegazione ricevuta dal sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi: “Dedichiamo questa giornata – dice – a Soumayla Sacko. È stata una giornata di sciopero alla quale hanno aderito anche i lavoratori del foggiano. Soumayla era un cittadino, un bracciante, aveva una figlia di 5 anni. Era impegnato nella lotta allo sfruttamento e lavorava per un salario di tre euro l’ora. Era un uomo, un lavoratore, un sindacalista. È stato assassinato. Noi condanniamo chi lo ha definito un ladro, perché lui cercava di migliorare le condizioni di vita di tutti i braccianti. Sosteniamo la lotta per la quale è stato ucciso e chiediamo verità e giustizia. Chiediamo che si indaghi per bene e con calma perché abbiamo diritto di sapere il nome di chi lo ha assassinato”.

IL VESCOVO: “OMICIDIO ASSURDO”
“Dal punto di vista umano quanto accaduto è assolutamente assurdo, non si può ammazzare una persona per un possibile furto di lamiera abbandonata”. Così il vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo. “Solidarietà e vicinanza per questa e per tutte le situazioni di precarietà cui sono costretti i migranti”, afferma il vescovo, sottolineando come “spesso basta un niente perché questi giovani paghino anche con la vita”. Monsignor Renzo ipotizza che gli uccisori “abbiano voluto dare qualche messaggio a questi ragazzi, tutti regolari”. “Sono cose che fanno pensare – conclude – ma questo non giustifica quanto accaduto”: Soumaila Sacko “probabilmente non c’entrava nulla con altri episodi criminosi avvenuti nella zona”.

LA PISTA DELL’INVASIONE DI CAMPO
L’uomo che ha ucciso Soumayla era già sul posto quando il giovane è arrivato nell’area dell’ex fornace “La Tranquilla”. A dirlo sono i carabinieri di Tropea che indagano sulla sparatoria. E la pista più accreditata è quella che punta sulla criminalità organizzata: il gesto di Soumayla potrebbe esser stato giudicato una “invasione di campo”. L’assassino è sceso dalla Panda con un fucile e ha esploso quattro colpi da una settantina di metri. La fabbrica è sotto sequestro da dieci anni, per cui non c’è nessun proprietario che possa lamentare il furto del materiale abbandonato.

La Repubblica

5 giugno 2018

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento