Forse non è troppo tardi


Uno dei 200.000 in marcia


Perugia-Assisi 2011. Io c’ero… La testimonianza “musicale” di Manuela, pubblicata sul sito del Gruppo Abele, che volentieri riprendiamo.


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Forse non è troppo tardi

Maybe it's not too late
Io vorrei dirlo, a Ozzy Osbourne, che una delle sue hit, Crazy Train, ha camminato da Perugia ad Assisi, domenica 25 settembre, alla marcia della pace ideata 50 anni fa dal "Gandhi italiano", Aldo Capitini. L'hanno portata un gruppo di ragazzini, che con i pastelli colorati ne hanno scritto un verso su un cartello: "maybe it's not too late to learn how to love and forget how to hate". Pensare che anche a questo cattivo dell'heavy metal, sia sgorgata nel cuore la speranza che "forse non è tardi per imparare come si fa ad amare e dimenticare come si odia", mi ha fatto sentire meno la stanchezza di una giornata passata a mettere un piede davanti all'altro, snocciolando un numero di chilometri che in genere si coprono in macchina, per risparmiare tempo. Allentando per un giorno il ritmo a cui siamo abituati a viaggiare e abbassando il tono della voce, per risparmiare il fiato, ho ascoltato e osservato migliaia di persone: insegnanti in marcia per sostenere la scuola pubblica e il diritto all'istruzione, cooperanti con negli occhi la guerra e la fame che affliggono i poveri del mondo, operatori sociali che hanno bisogno di risposte da dare a chi si trova in difficoltà, madri e padri che hanno in mente di lasciare ai figli un posto migliore in cui vivere e tanti giovani che hanno la forza di realizzarlo. Con la loro presenza al mio fianco, oltre 200 mila persone mi hanno dimostrato che il cambiamento che osiamo appena pensare quando siamo da soli, abbiamo il diritto di ritenerlo un traguardo raggiungibile, perché a volerlo siamo in tanti e in tanti ci stiamo adoperando quotidianamente, ognuno con i propri strumenti e le proprie possibilità, per arrivare fino in fondo. Certo, purtroppo sono passati 50 anni dalla prima marcia, e ancora il pensiero pacificista resta relegato ai margini: chi parla di disarmo è un sognatore, chi chiede diritti per tutti è un animo semplice, che ispira, ben che vada, un po' di tenerezza. In tv è passata qualche immagine di un corteo festoso e colorato, che non essendo né borioso, né volgare, né starnazzante, non ha bucato lo schermo. Qualche giornale ha anche esaltato la potenza del messaggio che Capitini continua a lanciare. Ma oggi è di nuovo un fiorire di articoli che raccontano un mondo in cui tutti sono in guerra con tutti: per avere più potere, più denaro, più ragione. Di qui a sconfortarsi è un attimo. L'ho pensato per tutto il corteo (ad esempio quando la macchina che trainava il barcone di Amnesty per denunciare la morte in mare di 1500 migranti è andata in panne, finendo la sua marcia nemmeno a metà percorso) e l'ho pensato anche tornata a casa, quando ho letto che mentre noi marciavamo, a Milano due ragazzi sono stati aggrediti con un cric per aver tamponato incidentalmente un auto o che a Torino una donna si è suicidata nel bagno di una caffetteria, che comunque è rimasta aperta col consueto via vai di clienti durante e dopo il lavoro di poliziotti e servizi mortuari. Poi ripensando a quei ragazzini, che sono riusciti a portare Ozzy – quello che una volta ha staccato il collo a una colomba in diretta Tv –  alla Marcia della Pace, mi sono rincuorata. È giusto: dopo tanti chilometri senza vedere la meta di questo cammino di mitezza e disobbedienza civile, ci sentiamo stanchi di camminare, con zaini, striscioni e fardelli vari che ci appesantiscono. Ma non ci dobbiamo fermare. Con quella determinazione che Gandhi ha insegnato al suo popolo e che Capitini ha insegnato a noi, forse (maybe) abbiamo ancora la possibilità di trascinare i cattivi "duri e puri" con noi sulla strada giusta. È vero: Assisi (che per Dante voleva dire non solo "salita", ma anche "oriente", "luce") all'inizio sembra lontanissima. Impossibile da raggiungere. Ma alla fine ci si arriva.  
 
Manuela Battista

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