Demolizioni a Susiya, la Nakba continua


Emma Mancini - nena-news.globalist.it


Il villaggio palestinese da decenni target della colonizzazione israeliana. Dopo le deportazioni, altri 50 ordini di demolizione. L’appello della UE.


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Demolizioni a Susiya, la Nakba continua

La storia del villaggio palestinese di Susiya è la storia della Palestina: è la Nakba che continua. Nel corso degli ultimi dieci giorni la piccola comunità è tornata il target delle autorità israeliane che da decenni tentano di cancellarla definitivamente dalle mappe.

Il 12 giugno l'esercito israeliano ha consegnato ben 50 gli ordini di demolizione: non solo contro tende (casa per oltre 100 abitanti di Susiya) e stalle per animali, ma anche contro la scuola, l'asilo e la clinica, il centro culturale, i pannelli solari donati dalla cooperazione internazionale. I residenti avranno tempo fino al 9 luglio per presentare appello.

Intanto, intorno al villaggio prosperano e si sviluppano in tempi record le colonie israeliane: nuovi appartamenti, strade, piscine, giardini all'inglese. Le colonie, da cui spesso partono le aggressioni ai pastori e agli abitanti palestinesi (sotto la costante minaccia di violenze fisiche), sono per lo più insediamenti illegali secondo la stessa legge israeliana (Havat Ma'on, Avigayl, Mitzpe Yair, Asaha'el e Nof Nesher).

La reazione palestinese e l'appello della UE. Venerdì scorso nel villaggio di Susiya si è tenuta una manifestazione non violenta con la partecipazione di oltre 500 palestinesi e attivisti internazionali, contro gli ordini di demolizione spiccati dall'Amministrazione Civile israeliana. Ingente la presenza di esercito e polizia di frontiera. Sono scoppiati alcuni scontri, ma nessuno è stato arrestato.

Le decine di ordini di demolizione piovuti sulla comunità di Susiya sono stati la conseguenza di una petizione presentata a febbraio alla Corte Suprema dall'organizzazione di destra israeliana Regavim, secondo la quale le strutture in questione erano state costruite senza i necessari permessi. Permessi che, seppur chiesti dalle comunità palestinesi in tutta l'Area C della Cisgiordania, non vengono mai rilasciati dalle autorità israeliane, una politica che obbliga i villaggi palestinesi a costruire "illegalmente".

Una situazione esplosiva che ha spinto anche l'Unione Europea a protestare: venerdì 15 giugno un gruppo di diplomatici europei ha fatto visita al villaggio di Susiya per poi esprimere in un comunicato "preoccupazione per l'impatto umanitario e le implicazioni politiche che gli ordini di demolizioni provocherebbero". Nella stessa dichiarazione ufficiale, la UE ha fatto appello ad Israele perché rispetti i propri obblighi nei Territori Occupati, tra cui "la fine del trasferimento forzato della popolazione e della demolizione di case e infrastrutture palestinesi, la semplificazione delle procedure amministrative per ottenere permessi di costruzione e l'assicurazione dell'accesso all'acqua e ai diritti umani di base".

L'odissea di Susiya dal 1948 a oggi. Nel 1948, anno della creazione dello Stato di Israele e della deportazione di 750mila palestinesi all'estero e in Cisgiordania, molte famiglie residenti in quello che oggi è Israele trovarono rifugio nelle colline a Sud di Hebron. Alcune di loro si stabilirono nel piccolo villaggio di Susiya, dove vivevano di pastorizia.

Nel 1986 il progetto colonizzatore israeliano ha distrutto la tranquillità della piccola comunità: le autorità israeliane avviarono la costruzione di una colonia a poche centinaia di metri da Susiya, confiscando terre e demolendo le case dei residenti palestinesi: l'area fu dichiarata sito archeologico, per la presenza in un'antica sinagoga. Illegale vivere là e costruire nuove strutture: ma se le autorità israeliane con una mano hanno obbligato le famiglie del villaggio a spostarsi, con l'altra hanno concesso permessi di costruzione a famiglie di coloni che hanno così avviato la creazione della colonia di Susiya.

Il nuovo piccolo villaggio di Susiya è stato ricreato poco lontano, diventando così di nuovo target delle politiche di trasferimento forzato dello Stato di Israele: nel 1999 i residenti di Susiya sono stati nuovamente cacciati dalle loro terre perché "troppo vicini all'insediamento". Come nelle peggiori immagini di deportazioni fin troppo note al Vecchio Continente, durante la notte l'esercito israeliano ha costretto gli abitanti di Susiya a salire sui camion per portarli verso Nord, a 15 chilometri dalle loro terre.

La terza deportazione risale al 2001, a seguito dell'omicidio di un colono: la comunità di Susiya è stata nuovamente cacciata, le loro case demolite e le cisterne dell'acqua distrutte. E il divieto di costruire rimane. Seppure, come spiega bene Abdel a Nena News, uno degli abitanti della piccola comunità, "a noi è proibito costruire perché si tratta di un sito archeologico, ma ai coloni no: hanno costruito case e allacciato le reti di acqua e elettricità. La Corte Suprema israeliana ha stabilito che noi siamo i legali proprietari di queste terre, ma non otteniamo nessun permesso per costruire case o per ricevere acqua e elettricità".

Il motivo per cui circa 400 palestinesi sono costretti oggi a vivere in tende e grotte, quello che resta del villaggio di Susiya. E il motivo per cui la cooperazione internazionale ha tentato di fornire elettricità attraverso pannelli solari e sistemi eolici, anche questi finiti nel mirino delle autorità israeliane.

Eppure la comunità palestinese resiste. Dal 2010 a mantenere vive tradizioni, stili di vita e speranze ci pensa il Susiya Creative and Learning Center, uno spazio in cui lavorano attivisti internazionali e educatori locali. Per le famiglie di Susiya l'occasione per svolgere numerose attività: lezioni di dabka, la danza tradizionale palestinese, lezioni di arabi e ebraico, corsi di disegno.

Fonte: http://nena-news.globalist.it
25 Giugno 2012

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