Damasco alla resa dei conti?


Misna


Saad Kiwan, giornalista e direttore della Fondazione Samir Kassir per la libertà di stampa: “Quello di Damasco resta uno dei regimi più repressivi di tutto il mondo arabo, con una stampa libera praticamente inesistente e decine di attivisti e intellettuali dissidenti incarcerati”.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Damasco alla resa dei conti?

“Il regime siriano ha fatto male i calcoli, credendosi immune grazie alla retorica nazionalista e alla formale belligeranza con Israele, dall’ondata di proteste che solcano da settimane le piazze arabe. Qualsiasi cosa accada, a partire da domani, il paese si sveglierà con una coscienza diversa di sé”: ne è convinto Saad Kiwan, giornalista e direttore della Fondazione Samir Kassir per la libertà di stampa, raggiunto dalla MISNA a Beirut nella giornata “della dignità” siriana, segnata da proteste e manifestazioni senza precedenti che in diverse città del paese hanno causato almeno una ventina di morti.

“Se si guarda all’evolversi delle proteste, in tutti i paesi arabi in cui si sono finora verificate, non si può non notare il ricorrere di alcune costanti – osserva il giornalista – ma non bisogna dimenticare che ogni paese ha le sue specificità e le sue tempistiche”.

Oltre alla modalità con cui vengono organizzate le manifestazioni, attraverso le nuove tecnologie e l’utilizzo dei social network come ‘Facebook’ e ‘Twitter’, “la singolarità di queste rivolte, sta nel fatto che per la prima volta da 60 anni la gente che è scesa in piazza non lo ha fatto per bruciare o calpestare bandiere straniere. Americane o israeliane”.

Un messaggio chiaro, secondo Kiwan, che la piazza ha mandato ai governanti arabi: “Questa volta ce l’abbiamo con voi, siete voi alla base dei nostri problemi”.

Fin dagli anni ’50, prosegue l’interlocutore della MISNA, “nei paesi arabi è valso il precetto del presidente Gamal Abd el Nasser che voleva che ‘Nessuna voce debba alzarsi al di sopra della battaglia’. Quello che sta accadendo dimostra che quella logica non funziona più, che la lotta contro Israele e il sostegno alla causa palestinese non sono più delle giustificazioni valide per imporre stati di polizia, servizi segreti onnipresenti e mancanza di libertà”.

La Tunisia ha dato il via a un movimento spontaneo di giovani, “che per la prima volta hanno detto basta alla corruzione e al nepotismo, al governo della paura e all’assenza di prospettive per sé e per i propri figli: toni e argomenti recepiti dai giovani dei paesi vicini che si sono immediatamente riconosciuti in queste rivendicazioni” aggiunge il direttore per cui non deve sorprendere che, una volta abbattuto il muro di paura, le popolazioni civili siano scese per strada a rivendicare i diritti proprio nei paesi in cui il potere è più dispotico.

“Quello di Damasco, nonostante le tiepide riforme economiche operate dall’arrivo di Bashar alla presidenza nel 2000, resta uno dei regimi più repressivi di tutto il  mondo arabo, con una stampa libera praticamente inesistente e decine di attivisti e intellettuali dissidenti incarcerati” spiega Kiwan.

In undici anni di governo “un presidente giovane, educato in Occidente e su cui all’indomani della morte del padre Hafez si erano concentrate le aspettative dell’intero paese, avrebbe avuto il dovere di fare di più. I siriani – osserva – hanno deciso di presentargli il conto”.

Fonte: www.misna.it
25 Marzo 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento