AfricaDay: l’aiuto necessario!


Il Fatto Quotidiano


Nel suo ultimo rapporto ‘Tutto l’aiuto necessario’, in occasione dell’Africa Day, Oxfam lancia l’allarme sulla diffusione della pandemia nei luoghi più disagiati della Terra, soprattutto in Africa: se i Paesi più ricchi non intervengono economicamente, anche loro pagheranno le conseguenze del disastro umanitario


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
A beggar wearing a face mask walks on the street Lagos Nigeria, Monday May 4, 2020. Though Nigeria begun a phased easing of its strict lockdown measures on Monday, its confirmed cases of coronavirus continue to increase. (AP Photo/Sunday Alamba)

Il coronavirus avrà effetti devastanti nei Paesi poveri: quaranta milioni di vittime se la pandemia non sarà contenuta e mezzo miliardo di poveri in più.

Se contagiata, solo meno della metà della popolazione mondiale avrebbe accesso a cure di base, mentre 880 milioni di persone che vivono in baraccopoli nei Paesi poveri non potrebbero neppure mantenere fisicamente norme di distanziamento.

Senza stanziamenti immediati per contrastare disuguaglianze e fragilità in questi Paesi, c’è il rischio che nei prossimi 12-18 mesi il virus rimbalzi di nuovo da Sud a Nord.

Oxfam presenta il nuovo rapporto Tutto l’aiuto necessario che fotografa le catastrofiche conseguenze sanitarie, umanitarie ed economiche della pandemia, inevitabili senza un’immediatserie di azioni efficaci. Una denuncia lanciata oggi, in coincidenza con l’Africa Day, proprio perché tra le aree più a rischio in questo momento ci sono molti dei Paesi più poveri e dilaniati da conflitti del continente africano.

Basti pensare che in 42 Paesi concentrati per lo più in nell’area sub-sahariana, la maggioranza della popolazione non può nemmeno lavarsi le mani con acqua e sapone in casa propria.

“Il segretario Onu Antonio Guterres ha avvertito che tutti gli investimenti sulla ricerca di cure e vaccini saranno inutili se il mondo ricco continuerà a pensare di potersi salvare da solo”, spiega Francesco Petrelli, senior policy advisor di Oxfam Italia su finanza per lo sviluppo.

UNA MINA VAGANTE – Il virus, in assenza di adeguate misure di contenimento, è una mina vagante, capace di produrre epidemie di ritorno, con ripercussioni economiche e sanitarie gravissime anche per quei Paesi ricchi che iniziano a uscire da una fase di prima emergenza. “Questa crisi – continua Petrelli – ci sta dimostrando sul piano dei principi, ma anche degli interessi socio-economici, che nessuno è al sicuro se non lo siamo tutti”. Allo stato attuale, i sistemi sanitari dei Paesi poveri, semplicemente non sono in grado di far fronte alla pandemia, innanzi tutto per mancanza di fondi e altissimi livelli di indebitamento estero. Ed è per questo che Oxfam lancia un appello urgente a governi, istituzioni globali e al Fondo Monetario Internazionale per lo stanziamento di 300 miliardi di dollari in aiuti e un’estensione della cancellazione del debito estero a tutti i Paesi poveri e in via di sviluppo. Nel 2020, in 46 Paesi poveri la spesa per il pagamento del debito estero è in media il quadruplo della spesa sanitaria. In Ghana, ad esempio, Paese record per crescita del Pil, la spesa per il servizio del debito era pari a 11 volte la spesa sanitaria. E in media la spesa sanitaria pro-capite nei Paesi a basso reddito può essere 70 volte inferiore rispetto a quella dei Paesi ad alto reddito.

L’EMERGENZA IN AFRICA – La situazione più drammatica è in Africa a causa di una strutturale carenza di forniture, equipaggiamenti e personale medico. Se in Europa ci sono più di 33 medici e 80 infermieri ogni 10mila abitanti, in Africa sono rispettivamente 2,8 e 11, con oltre 95mila contagi. Contro il coronavirus il Mali dispone di soli 3 ventilatori polmonari per 10 milioni di persone, anche la Repubblica Centrafricana ne ha soltanto 3, mentre ben 10 Paesi africani non ne hanno nessuno. Si tratta di sistemi sanitari già ridotti allo stremo con un carico totale di malattie infettive neanche paragonabile a quello dei Paesi ricchi. Contesti dove ogni giorno muoiono in media di tubercolosi oltre 4mila persone e quasi 1.200, per lo più bambini, sono uccise dalla malaria. Particolarmente critica la situazione anche nel Sahel, soprattutto in Burkina Faso, dove oltre un milione di donne sono allo stremo, costrette in gran parte a vivere in alloggi di fortuna e campi profughi, senza accesso a servizi essenziali, acqua pulita e cibo ed esposte a violenza di ogni sorta, a causa del brutale conflitto in corso e dell’instabilità acuita dalla pandemia. “Se, come per Ebola, strutture sanitarie tanto fragili si troveranno a dover concentrare risorse e personale sulla cura del Covid – racconta Petrelli – moriranno molte più persone di altre malattie. Come successo in Sierra Leone, dove il numero delle donne morte durante la gravidanza fu pari a quello delle vittime dell’Ebola”.

IL RISCHIO DELLA RIDUZIONE DEL PIL DOPO 25 ANNI – Nei Paesi a basso e medio reddito, e soprattutto in Africa, con l’espandersi della pandemia da coronavirus, i danni economici derivanti dalle massicce fughe di capitali (con 90 miliardi di dollari ritirati solo a marzo dai mercati a causa dell’aumento del “rischio paese”), sommati alla riduzione dei prezzi delle materie prime, dei proventi del turismo e delle rimesse avranno effetti devastanti sui mezzi di sussistenza. La Banca Mondiale prevede che nell’Africa sub-sahariana la crescita potrebbe ridursi addirittura del 5,1% nel 2020 e del 2% in tutto il continente. Sarebbe la prima recessione nella regione negli ultimi 25 anni. Tra le prime conseguenze potrebbe esserci una vera e propria catastrofe alimentare. Già prima della pandemia, 820 milioni di persone non avevano cibo sufficiente, mentre oggi altri milioni rischiano di ritrovarsi alla fame a causa degli sciami di locuste che imperversano in tutta l’Africa orientale devastando i raccolti. “Due terzi dei paesi del continente ha subito il lockdown – spiega Oxfam – ed è quindi indispensabile sostenere anche la loro ripresa per non innescare una catastrofe sociale che si sommerebbe a quella sanitaria”.
TUTTO L’AIUTO NECESSARIO – Da qui l’invito a concentrare nel breve e nel medio periodo risorse per garantire acqua e igiene, reclutare 10 milioni tra medici e infermieri, garantendo assistenza sanitaria di base gratuita per tutti e accesso a vaccini e cure.

“Per fare questo è necessario liberare Paesi già poverissimi dal peso del debito estero”, sottolinea Oxfam, che stima sia sufficiente il 6% degli incentivi economici messi in campo sinora nei Paesi ad alto reddito. Contestualmente servirà il raddoppio degli aiuti diretti all’emergenza sanitaria verso i Paesi più poveri e l’estensione della cancellazione del debito a tutte le economie più fragili.

Il recente annuncio del Fondo Monetario Internazionale di voler cancellare il debito di 25 Paesi in considerazione della crisi è un primo passo avanti. Tuttavia questo piano, secondo Oxfam, “non solo manca di ambizione, in quanto è troppo esiguo e sostiene un numero troppo limitato di Paesi, ma farà sì che i contributi degli aiuti verranno utilizzati per pagare lo stesso debito”. Un circolo vizioso che può essere interrotto solo se il Fondo Monetario Internazionale deciderà di cancellare i pagamenti del debito rendendo disponibili, ad esempio, parte delle proprie riserve auree. “Un aiuto internazionale efficace che segni una svolta, deve contrastare l’emergenza sanitaria subito e sostenere i Paesi poveri nella ripartenza economica”, conclude Petrelli che descrive una strategia da mettere in atto in quattro mosse decise e tempestive: “Colmare il gap dell’aiuto allo sviluppo portandolo da 150 miliardi di dollari attuali a 300 miliardi, investire nel raddoppio della spesa sanitaria pubblica negli 85 Paesi più poveri del mondo, pari a 159 miliardi di dollari, cancellare il fardello del debito per tutti i paesi poveri, riorganizzare gli aiuti sotto il segno della lotta alla diseguaglianza, della tutela sociale, degli aiuti a misura di donna, della salvaguardia dell’ambiente e del clima”.

 

Luisiana Gaita

25 maggio

Il fatto Quotidiano

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+