Abu Mazen dice no all’estensione. E Tel Aviv minaccia di annettere i Territori occupati


Giorgia Grifoni - nena-news.globalist.it


Ramallah annuncia di voler proseguire l’iter di adesione a 15 tra agenzie Onu e trattati internazionali. E a Washington cresce la consapevolezza del fallimento dei colloqui.


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Abu Mazen ha “gettato tutto all’aria”. Perché “John Kerry ha avuto una pazienza fenomenale nel tentare di raggiungere un accordo”. E i palestinesi “la pagheranno”. Rabbia, lamenti e minacce hanno affollato questa mattina la stampa israeliana, dopo la risposta data ieri dal presidente dell’Autorità palestinese  alla proposta israelo-statunitense di estendere i negoziati fino al 2015: no. Non solo: Abu Mazen ha annunciato di aver già avviato l’iter per la richiesta di ammissione della Palestina a 15 tra agenzie Onu e trattati internazionali, per provare a trascinare Tel Aviv davanti a un tribunale per i crimini di guerra finora compiuti.

Abu Mazen esce dunque dall’angolo nel quale si era visto spingere ultimamente da Washington e Tel Aviv, che lo avevano ricattato giocando la carta dei detenuti politici palestinesi ancora da liberare:  se non avesse accettato di estendere gli infruttuosi colloqui per almeno altri nove mesi, l’ultima tranche di detenuti sarebbe rimasta dov’era. Ma se avesse detto sì, allora forse i 26 sarebbero stati accompagnati da altri 400 prigionieri “storici” delle carceri israeliane e, al limite, Tel Aviv avrebbe “congelato temporaneamente” le costruzioni nelle terre palestinesi occupate: ma non quelle a Gerusalemme est e nemmeno quelle negli insediamenti più isolati. Come ha potuto Abu Mazen lasciarsi sfuggire una così generosa offerta?

Da parte palestinese, le motivazioni sono chiare:  l’accordo sul rilascio – una delle precondizioni  per il ripristino dei negoziati lo scorso luglio assieme al congelamento, da parte palestinese, delle richieste di adesione a organizzazioni internazionali – è stato violato, e quindi ci si riserva il diritto di procedere con l’iter di adesione alle agenzie Onu. “Questa non è una mossa contro l’America – ha dichiarato ieri il presidente palestinese – né contro alcun altro partito: è un nostro diritto, e noi abbiamo accettato di sospenderlo per nove mesi”.

Israele a tratti sembra perdersi nello shock della notizia: “E’ questo – ha dichiarato un funzionario israeliano che preferisce restare anonimo all’AFP – il partner di Israele? E’ questo un partner per la pace? Adesso tutto è cambiato. C’è ancora un accordo? Non lo sappiamo”. La stampa israeliana, invece, spazia dall’angoscia per il possibile smarcamento americano dai colloqui alla placida accettazione della morte del negoziato. Di tutt’altro sapore è invece la reazione dei dirigenti politici israeliani. Il ministro del Turismo Uri Landau, ad esempio, ha informato il mondo dell’imminente rappresaglia israeliana alla decisione palestinese: “Una delle possibili misure – ha dichiarato oggi Landau – sarà che si applichi la sovranità su aree che saranno chiaramente parte di Israele in ogni futura soluzione”. La Valle del Giordano, i blocchi di colonie a ridosso della barriera di separazione: tutti territori che Israele, complice il sostegno degli Stati Uniti, stava cercando di ottenere “per vie legali” offrendo in cambio qualche porzione di terra arida e incolta nel deserto del Negev o del fatidico “triangolo arabo” della Galilea che non gli è mai andato giù.

E piange, ora, Washington, che aveva speso “tempo ed energie per la riuscita del negoziato”, come recita l’apertura di oggi del quotidiano israeliano Haaretz. Il segretario di Stato americano John Kerry si è detto determinato a premere per estendere il negoziato ma, secondo alcune fonti della Casa Bianca citate dal New York Times, pare sia “arrivato al limite dei suoi sforzi per risolvere la questione”.  Eppure com’è possibile dimenticare che Kerry, l’eroe sconfitto del giorno, è riuscito a barattare con Israele solo il possibile  rilascio di una ex-spia che nel 2015 sarebbe uscita comunque di prigione? A ogni nuova unità abitativa annunciata negli ultimi nove mesi, Kerry non ha mai alzato la voce. Come non si è espresso mai sulla preoccupante escalation di violenze nei territori occupati da parte dell’esercito israeliano. Il tutto, nel bel mezzo dei colloqui, tra le denunce delle organizzazioni internazionali, le timide prese di posizione dell’Unione Europea contro la colonizzazione dei Territori palestinesi e l’ombra del boicottaggio internazionale che si stende da mesi su Israele. Ma, alla fine, è stato Abu Mazen che ha gettato tutto all’aria.

Fonte: http://nena-news.it
2 aprile 2014

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