"A Perugia ha vinto la cultura politica della partecipazione"


Mario Pianta


"Il grande, imprevisto successo della marcia Perugia-Assisi è la notizia di questi giorni. Duecentomila persone su 24 chilometri di cammino, senza la minima attenzione dei media, delle forze politiche e una presenza distratta delle associazioni nazionali, hanno molte cose da dire alla politica".


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"A Perugia ha vinto la cultura politica della partecipazione"

Il grande, imprevisto successo della marcia Perugia-Assisi è la notizia di questi giorni. Duecentomila persone su 24 chilometri di cammino, senza la minima attenzione dei media, delle forze politiche e una presenza distratta delle associazioni nazionali, hanno molte cose da dire alla politica.
La prima è che in Italia c'è una cultura politica della partecipazione in prima persona che non è stata liquidata nè dai riflussi dei movimenti, nè dalle delusioni della politica dei partiti, nè dalle derive qualunquiste alla Beppe Grillo. E' una cultura trasversale, che unisce i pacifisti "storici" e gli scout, chi è salito sui pullman dai paesini del Friuli e della Puglia e i tantissimi studenti alla loro prima manifestazione. Questa cultura e questa pratica sono tra i fondamenti della democrazia in questo paese.
La seconda notizia da Perugia è che questa partecipazione si esprime ormai in completa autonomia dalla politica istituzionale e sa fare a meno del circuito mediatico. E' un'espressione di soggettività della società civile radicata in comunità capaci di coniugare locale e globale; nelle centinaia di città italiane che si sono mobilitate per la marcia, il lavoro comune di enti locali e associazioni manda segnali sui percorsi possibili per un riavvicinamento tra istituzioni e società civile. Più di ogni altra cosa, la soggettività che si è mostrata tra Perugia e Assisi è quella che alimenta i movimenti per la pace e per una globalizzazione dei diritti, mobilitazioni che esprimono proteste, proposte e una pratica politica diretta, capace di attraversare confini e continenti. Qualche esempio? A Perugia si sono intrecciati i fili delle campagne comuni tra l'associazione antimafia Libera e i movimenti che in Colombia combattono paramilitari e padroni del narcoraffico, tra chi chiede tutela dei lavoratori in Europa e in Asia, tra i gruppi di solidarietà alle lotte per la libertà in Birmania.
Proprio i contenuti, difficili, affrontati dall'Assemblea dell'Onu dei popoli ci mandano una terza notizia: la pace non è retorica o "buonismo", ma può cambiare la politica estera degli stati; reclamare i diritti – delle vittime, delle donne, dei lavoratori, degli immigrati, di chi è senza democrazia – può essere la bussola per una politica che riparta dai cittadini.
Manca – è vero – una quarta notizia: la capacità di queste mobilitazioni di avere un rapporto diretto con le decisioni del governo. Il candidato Prodi era andato due anni fa all'Onu dei popoli a presentare il suo programma per un'alternativa all'Italia di Berlusconi. Non ripresentarsi ora a rendere conto del suo anno e mezzo di governo e delle troppe scelte che vanno in senso contrario – dalle spese militari all'Afghanistan – è più un'ammissione di sconfitta della politica che una prova dell'irrilevanza dei movimenti.
Ma, a guardare bene, queste notizie non sono nuove; tutte le manifestazioni con un radicamento vero nella società civile hanno avuto quest'anno un successo insperato, per quanto difficili fossero i temi lanciati – dalla pace in Medio oriente alla manifestazione del novembre dell'anno scorso a Milano della Tavola per la Pace, al rifiuto della base Usa all'aeroporto Dal Molin un mese fa a Vicenza. E' questa la strada per far crescere anche la manifestazione che il 20 ottobre a Roma chiederà al governo il rispetto degli impegni del programma. Il successo di Perugia si potrà ripetere se al primo posto saranno messi i contenuti: nuove idee per uscire dalla precarietà del lavoro, le alternative alla Finanziaria proposte da Sbilanciamoci, le pratiche di una politica partecipata in tante città, la soggettività di chi chiede più uguaglianza e meno guerre, in Italia e nel mondo.

Fonte: il manifesto, 8 ottobre 2007

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