Yarmouk, si aprono le porte del carcere


Sonia Grieco - Nena News


Sabato per la prima volta dopo mesi sono entrati 200 lotti di aiuti umanitari, mentre decine di persone sono state caricate sulle ambulanze e trasportate in ospedale.


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Si aprono le porte di Yarmouk, a più di cinque mesi dall’inizio dell’assedio. Sabato, nel campo profughi palestinese a sud di Damasco in cui almeno 41 persone sono morte di stenti, per la prima volta sono entrati 200 lotti di aiuti alimentari, mentre decine di persone sono state, in maggior parte donne e bambini, sono state condotte sulle ambulanze per essere curate in ospedale. Gli stessi camion dell’Unrwa sui quali nei giorni scorsi i cecchini avevano aperto il fuoco, sono riusciti a portare soccorso alle circa 18mila persone intrappolate da sette mesi in quello che, prima dell’esplosione del conflitto tra le truppe del presidente Bashar al Assad e i suoi oppositori, era il più grande campo profughi palestinese della Siria. Un insediamento relativamente ricco, animato centro commerciale e culturale, che ospitava circa un terzo dei 500mila palestinesi che erano presenti nel Paese.

Dopo quasi tre anni di guerra, Yarmouk è un cumulo di macerie, occupato in parte (nella zona Sud) dagli insorti e dalle milizie islamiste che avrebbero impedito con le armi l’ingresso dei convogli umanitari, tenuto d’assedio dall’esercito di Assad, bombardato dall’aviazione governativa e svuotato dalla fuga in massa dei suoi abitanti. In questo campo, distante otto chilometri dalla capitale, secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti umani, nelle ultime settimane sono morti di inedia e per mancanza di cure 41 palestinesi, tra cui ci sarebbero 13 donne, alcune decedute durante il parto, e tre bambini, secondo l’Unrwa che preme affinché sia dichiarata una tregua per potere soccorrere la popolazione. Una situazione “disperata”, ha detto già all’inizio dell’anno Chris Gunness, portavoce dell’agenzia Onu, “Se non si trova una soluzione con urgenza, potrebbe essere troppo tardi per salvare le vite di migliaia di persone, tra cui molti bambini”.

A novembre l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) aveva reso noto di essere in trattativa con il governo siriano, ma anche i tentativi dell’Olp di portare aiuti nel campo sono falliti e i suoi abitanti restano prigionieri della battaglia tra le truppe di Assad e i cosiddetti ribelli. Tra le file degli insorti si contano diverse fazioni islamiste, ha spiegato Ahmad Majdalani, esponente dell’Olp, all’agenzia palestinese Maan, tra cui il Fronte al-Nusra e l’Isis (Stato islamico dell’Iraq e della Siria), legati ad al Qaeda, e le Brigate Aknaf Bayt al-Maqdis. È difficile individuare un interlocutore per negoziare, ha detto Majdalani: “Ci sono troppi gruppi armati e nessuno specifico con cui dialogare”.

Infatti, sebbene fosse stato raggiunto un accordo per il ritiro dal campo di nove fazioni armate, non se n’è fatto nulla per il successivo rifiuto di quattro gruppi. La loro agenda politica non tiene conto dell’emergenza umanitaria esplosa nel campo negli ultimi mesi: Yarmouk è sulla strada per Damasco, in una posizione strategica, e la battaglia per la Siria è ancora aperta. Questo è chiaro anche ai vertici militari siriani che hanno ordinato di circondare e bombardare il campo per stanare i ribelli. Non toglieranno l’assedio fino a quando i miliziani stranieri, reclutati tra le file degli jihadisti, non lasceranno il campo, ha riferito il quotidiano libanese al Akhbar, vicino al movimento sciita libanese Hezbollah che ha schierato i suoi uomini a fianco delle truppe di Assad.

La tragedia di Yarmouk, aperto nel 1957, è anche il simbolo del coinvolgimento dei palestinesi siriani nella guerra civile che sta squassando il Paese che li ospita dal 1948, l’anno di fondazione dello Stato di Israele e dell’inizio della diaspora palestinese. All’inizio del conflitto, a marzo del 2011, la comunità palestinese ha tentato di mantenere una posizione neutrale e mesi dopo i suoi leader hanno cercato di ottenere uno status speciale per il campo, che lo tenesse fuori dal conflitto. L’esercito è rimasto all’esterno dall’insediamento, ma all’interno le divisioni tra gli stessi palestinesi sono sfociate in scontri tra i sostenitori e gli oppositori del regime di Assad. I primi legati al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina – Comando Generale (FPLP-CG), i secondi sono confluiti nell’Esercito siriano libero (ESL) o hanno formato il gruppo Liwa al-Asifa, mentre altre formazioni ribelli, tra cui fazioni jihadiste, si stabilivano nel campo. A dicembre del 2012, il tentativo dell’ESL di prendere il controllo di Yarmouk è stato seguito da sanguinosi combattimenti e da bombardamenti dell’aviazione governativa, il 16 dicembre, che hanno messo in fuga centinaia di persone.

I palestinesi sono diventati un’altra carta da giocare nel conflitto siriano e il prezzo che pagano è altissimo, soprattutto in questo campo vicino alla capitale dove si muore di fame. Secondo alcuni analisti, potrebbe ripetersi quello che accadde in Iraq: un’altra diaspora, con migliaia di persone che si ammassarono in campi di accoglienza ai confini con la Siria e la Giordania senza potere rientrare alle proprie case. Secondo i dati dell’Unrwa, almeno 270mila palestinesi sono sfollati all’interno della Siria, mentre in 80mila hanno trovato rifugio all’estero: 51mila in Libano, 11mila in Giordania, 5mila in Egitto e centinaia in Turchia, nella Striscia di Gaza e in altri Stati. Il loro status giuridico è precario, non sono considerati rifugiati ma ospiti temporanei e talvolta indesiderati.

La sorte dei palestinesi di Yarmouk è l’ennesima tragedia che colpisce questo popolo in diaspora. A Gaza, a Haifa, ad Amman, a Beirut sono scesi in strada per chiedere la fine del blocco, mentre le radio della Cisgiordania hanno dedicato le loro trasmissioni a questa crisi umanitaria. I morti di inedia di Yarmouk si aggiungono alle oltre 120mila vittime della guerra civile siriana. Un conflitto, caratterizzato sempre di più da uno scontro settario (la lotta tra sunniti e sciiti/alawiti), che sta travalicando i confini del Paese mettendo in pericolo la stabilità dell’intera regione.

Fonte: Nena News

20 gennaio 2014

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