Vertice di Annapolis: appuntamento pericoloso


Zvi Shuldiner


Con l’incontro di Annapolis aumenta il rischio di una guerra all’Iran. Il vertice in corso negli Usa per la pace in Medio Oriente rischia di far esplodere nuovi conflitti.


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Vertice di Annapolis: appuntamento pericoloso

Decine di alti dignitari sono arrivati negli Stati Uniti per partecipare al teatro organizzato dal Presidente Bush, per quella che fino a qualche settimana fa era una “conferenza di pace” Israele –Palestina e che adesso è solo “un incontro”.

Un incontro, realizzato con il pretesto della pace ma che potrebbe costituire la base per future guerre. Annapolis aumenta infatti il pericolo di un attacco all’Iran.
All’”incontro” sono presenti non soltanto israeliani e palestinesi ma anche la Lega Araba, inviati della maggior parte dei paesi arabi e all’ultimo momento anche un sottosegretario agli esteri della Siria, grazie a una diversa formulazione dell’invito. Europa, Russia, India, Brasile e Cina daranno tutti alto lustro a un momento pieno di incognite.
Già oggi molti ritengono che il principale obiettivo della conferenza non sia un contributo alla pace israelo-palestinese. Nel migliore dei casi si prepara una dichiarazione congiunta dell’ultimo minuto, che non sarà altro che un inutile ritorno a alcuni luoghi comuni.
Nessuno discute l’idea della “pace” e la maggioranza accetta l’idea di “due popoli, due stati”, ma questa supposta pace passa per due partner incapaci di arrivare ai contenuti di un accordo autentico.
Il governo israeliano, al riparo della politica estera americana, insiste nei suoi sforzi per frammentare la società palestinese.
Per cecità e corruzione, alcuni leader palestinesi ritengono che un intervento militare di Israele potrebbe distruggere Hamas e permettere alla nomenclatura di Fatah il ritorno alla dolcezza del potere. La massiccia presenza dei paesi arabi potrebbe essere il raggio di luce che indica ad Hamas una posizione più flessibile, ma questo non sembra preoccupare Abu Mazen e i suoi, il cui recupero del potere sta a cuore più che gli interessi dei palestinesi. In Palestina Hamas denuncia la svendita che Abu Mazen sarebbe sul punto di fare, in Israele la destra accusa il governo Olmert di tradimento. Entrambi reagiscono pavlovianamente a qualsiasi iniziativa di pace. Senza capire che da Annapolis non uscirà che qualche fuoco d’artificio, qualche vacua dichiarazione senza valore.
Il presidente Bush gioca la cosa come un trionfo diplomatico, su due fronti. Da un lato la sua immagine negli Usa si è seriamente deteriorata, evaporano i miti che hanno portato alla guerra e gli americani cominciano a capire quale disastro era contenuto nella sua politica. Dall’altro lato gli ultrà americani vedono nella conferenza una possibilità per proseguire i propri piani criminali. Il cui prossimo passo è un attacco contro l’Iran, realizzato direttamente oppure dando via libera al governo israeliano. I generali americani sono contrari, ma i generali erano contrari anche a usare l’atomica per mandare un segnale a Stalin.
Annapolis permette a Bush, Cheney e soci, di raggruppare i paesi arabi “moderati”, rafforzare alcuni di quei regimi minacciati dal fondamentalismo e costruire un’alleanza che renda possibile un attacco all’Iran, l’ultimo e demenziale passo degli “ultra-con”. Se non ci saranno ostacoli, una guerra lunga e sanguinosa travolgerà la regione. L’”incontro” inizia con il pretesto della pace israelo-palestinese, ma la pace è molto lontana. E la disillusione darà nuove ragioni per un’esplosione nei Territori, nei quali tre milioni di palestinesi continuano a pagare il duro prezzo dell’occupazione.

Fonte: Il Manifesto

27/11/2007

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