Usa e Onu di nuovo insieme per un mondo senza atomiche


Simonetta Cossu


Disarmo, il Consiglio di sicurezza presieduto per la prima volta da un presidente Usa vota la risoluzione. Barak Obama ieri ha sposato senza reticenze la causa di un mondo senza armi atomiche.


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Usa e Onu di nuovo insieme per un mondo senza atomiche

Sono passati sei anni da quel 5 febbraio 2003 quando Colin Powell segretario di stato Usa si fece beffa del Consiglio di sicurezza mostrando la falsa provetta che mostrava la “prova inconfutabile” che Saddam aveva armi batteriologiche. Ieri seduto in quel Consiglio di sicurezza c’era il presidente degli Stati Uniti Barak Obama, anzi lo presiedeva (era la prima volta per un presidente Usa dal 1946) e ha messo ai voti la risoluzione che bandisce le armi nucleari del pianeta. Un atto formale senza dubbio, ma che riveste una importanza politica notevole: il ritorno degli Stati Uniti alla politica multilaterale. Un cambio di agenda drastico rispetto a quello che la diplomazia mondiale ha dovuto assistere negli ultimi anni. Barak Obama, indiscusso protagonista della due giorni al Palazzo di Vetro, dopo aver scosso i leader mondiali sul problema clima, dopo aver annunciato che Washington non intende più agire da sola e che è pronta a rispettare chi non la pensa come lei, ieri ha sposato senza reticenze la causa di un mondo senza armi atomiche. “Una guerra nucleare – ha detto Obama – non deve mai essere combattuta. Le armi nucleari devono essere eliminate totalmente è questo il nostro obiettivo e la nostra sfida”. “Non importa quanto saranno grandi gli ostacoli da superare, non dobbiamo mai fermare gli sforzi di ridurre le armi” ha aggiunto. Obama ha esortato a non fermarsi “fino a quando un giorno vedremo che le armi nucleari sono state completamente cancellate dalla faccia della terra”. La risoluzione, approvata all’unanimità, indica come obiettivo un pianeta senza armi nucleari. Chiede la fine della proliferazione delle armi atomiche e chiede ai Paesi firmatari del Trattato di non Proliferazione nucleare (Tnp) di mantenere il loro impegno a non sviluppare armi atomiche. Il documento esorta gli Stati che non hanno firmato il Tnp a partecipare allo sforzo per giungere al disarmo. La risoluzione non menziona Paesi specifici, ma è un riferimento a India e Pakistan (mentre Israele non ha mai ammesso ufficialmente di avere ordigni atomici). La risoluzione, senza nominare direttamente Iran e Corea del Nord, menziona anche le “grandi sfide esistenti al regime di non proliferazione nucleare”. Nella sala del Consiglio erano presenti, oltre a Obama, il segretario di Stato Usa, Hilary Clinton, e l’ambasciatrice americana all’Onu, Susan Rice, personalità come Henry Kissinger e l’attore Micheal Douglas, testimonial dell’Onu per la pace e il disarmo. E i Presidenti di Cina, Hu Jinatao, Francia, Nicolas Sarkozy, Russia, Dmitry Medvedev e il premier britannico, Gordon Brown. Ma anche il Premier giapponese, Yukio Hatoyama, il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, il presidente messicano, Felipe Calderon, il premier turco, Rcep Tayyp Erdogan e il presidente vietnamita, Nguyen Minh Triet. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki- Moon, è intervenuto sollecitando i Paesi della comunità internazionale a “cogliere” questa “opportunità rara”, quella creata da una conferenza dedicata al disarmo presieduta dagli Usa, e, chi non lo ha ancora fatto, a ratificare il Trattato per il bando complessivo dei test nucleari (Ctbt). “C’è una nuova spinta verso la pace – ha dichiarato Ban – Questo è il momento giusto. Non aspettate che altri assumano la leadership, dimostrate la vostra”. Auspicando che il prossimo appuntamento della conferenza biennale sul trattato sia occasione per “celebrare la sua entrata in vigore e l’ingresso del mondo in un’epoca più sicura per tutti”. Per entrare in vigore, il trattato, a cui hanno fino ad ora aderito 181 Paesi, ha bisogno della ratifica di altri nove (stati Uniti, Cina, Egitto, Corea del Nord, India, Indonesia, Iran, Israele e Pakistan). E forse il presidente americano ha pensato alle sue difficoltà quando intervenendo ha dichiarato che “I prossimi 12 mesi saranno assolutamente critici nel determinare il successo di questa risoluzione e dei nostri sforzi per combattere la diffusione delle armi nucleari”. Infatti ora dovrà lavorare perché il Trattato per il bando complessivo dei test nucleari venga approvato dal suo Congresso. Ma vista la nuova aria sono già numerosi i paesi che hanno fatto sapere che se Washington ratificherà loro sono pronti a fare altrettanto. Tra questi Indonesia e Cina. Sul fronte più caldo, l’Iran, qualcosa si muove. Riprende quota l’ipotesi di nuove sanzioni. Anche la Russia infatti apre all’ipotesi mentre i negoziatori precisano di volere una risposta “chiara” da Teheran entro il primo ottobre. In controtendenza la Cina, convinta che lo strumento delle sanzioni non sia “efficace”. Anche Amedinejad “addolcisce” i toni. In una lunga intervista concessa al quotidiano The Washington Post e al settimanale Newsweek il presidente iraniano approfitta della rara occasione di un contatto diretto con i mass media Usa per lanciare la proposta di una riunione a livello internazionale tra scienziati ed esperti nucleari sia dell’Iran sia di Paesi terzi, ma compresi quelli americani. A suo dire sarebbe il miglior modo per promuovere il dialogo, e fugare ogni sospetto sulle reali intenzioni di Teheran. Mossa diplomatica o meno, la ripresa dei colloqui in materia nucleare tra i rappresentanti di Teheran e quelli del cosiddetto “5+1”, vale a dire i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania è già stata fissata: showdown a Ginevra il 1 ottobre.

Fonte: Liberazione

25 settembre 2009

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