Un futuro senza paura e senza armi per Israele e Palestina


Raffaele Crocco


C’è qualcosa da “ola da stadio”, di drammaticamente stonato, negli articoli di alcuni editorialisti italiani, tesi a giustificare sempre e comunque la guerra che Israele ha scatenato contro il territorio di Gaza nelle scorse settimane.


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C’è qualcosa da “ola da stadio”, di drammaticamente stonato, negli articoli di alcuni editorialisti italiani, tesi a giustificare sempre e comunque la guerra che Israele ha scatenato contro il territorio di Gaza nelle scorse settimane. Da pacifista benpensante – per usare un termine adottato da molti editorialisti nelle ultime settimane – trovo già poco costruttivo giustificare la guerra in generale, qualunque guerra intendo. Nel caso specifico dell’eterna guerra fra israeliani e palestinesi, come molti altri scrivo conoscendo quella realtà, avendola frequentata. Scrivo non solo senza mettere in discussione il diritto di Israele ad esistere – ci mancherebbe, quel Paese, come qualunque altro, va difeso con i denti se serve -, ma ribadendo il diritto di ogni singolo israeliano a vivere finalmente in pace, pensando ad un futuro senza paura e senza armi.

Proprio perché parto da lì, dal diritto ad una vita pacifica, penso di poter ribadire che il diritto all’esistenza è anche diritto dei palestinesi, sancito per altro da più di una risoluzione della Comunità Internazionale. Confermato anche – chissà perché, alcuni lo dimenticano – dallo Stato di Israele, che nel 1993, a Oslo, in Norvegia, firmò con il primo ministro Yitzach Rabin un accordo con l’Olp, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata da Arafat. In quell’intesa – benedetta dagli Stati Uniti – si definivano i confini dei due territori, si sanciva che i palestinesi sarebbero finalmente stati governati da loro stessi, si chiariva il principio dottrinale di Due Popoli, Due Stati. Addio convivenza, certo, ma almeno….

Una base giuridica, quindi, riconosciuta da molti Paesi del mondo, Stati Uniti e Unione Europea in testa. Ora, gli editorialisti tifosi di cui parlavo, scrivono che il principio di Due Popoli, Due Stati è morto. Ad ucciderlo – senza neppure vederne la nascita – sarebbe stata Hamas, l’organizzazione islamica palestinese che dal 1996 contende alla laica Al Fatah il consenso dei palestinesi. Hamas – che governa la striscia di Gaza – ha nel proprio statuto la fine di Israele, la sua scomparsa, con la conseguente cacciata di tutti gli ebrei dalla Palestina. Questo, dice Taino, rende cadavere la dottrina dei Due Popoli, Due Stati,

E’ assolutamente vero. Hamas vuole la distruzione di Israele e la persegue tenacemente, armi in pugno, terrorizzando i civili israeliani. Chi lo nega, cancella una verità. Attenzione: cancella appunto una verità e una sola, non tutta la verità. I tifosi-editorialisti dimenticano di dire, infatti, che il primo attacco alla dottrina e ai tentativi di pace venne dagli integralisti ebrei, quando il 4 novembre 1995, a Tel Aviv, Ygal Amir, un colono estremista, uccise a colpi di pistola il primo ministro Rabin, al termine di un comizio a favore della fine del conflitto.

Coloro che guardano il mondo con lo sguardo girato solo da un lato, poi, non raccontano che nel 2002 il governo israeliano ha dato il via alla costruzione di un muro di 730 chilometri, teoricamente nato per segnare il confine fra i due territori – così come definiti dall’accordo di Oslo – nella realtà concepito per rubare terreno ai palestinesi e isolarli, dando spazio ad un numero crescente di colonie, considerate illegali dal diritto internazionale.

Infine, dimenticano che Israele ha organizzato a Gaza un assedio diventato tragedia umanitaria. In quel territorio non può arrivare nulla che Israele non voglia: non cibo, non medicinali, non materiale da costruzione. Immagino che molti editorialisti pensino che tutti, ma proprio tutti i palestinesi di Gaza siano con Hamas, pronti a colpire Israele. Certamente, sembrano non capire che tutti, ma proprio tutti i palestinesi di Gaza hanno diritto a vivere, esattamente come tutti gli israeliani.

Uso volutamente ed esclusivamente la parola israeliani e non ebrei, perché mi hanno spiegato – ed io da laico ci credo – che Israele è uno stato, l’ebraismo una religione. Le due cose, almeno nell’ottica che ne abbiamo dalla vecchia Europa, dovrebbero essere divise. Di tenerle separate lo chiediamo – con molta ragione – ai musulmani, troppo inclini a creare stati clericali. Lo dovremmo chiedere anche agli ebrei, che hanno da poco trasformato, con una riforma costituzionale, Israele in uno stato confessionale. In Europa nessuno sembra averci fatto caso, nessuno ha protestato. Così come nessuno ricorda che Israele è una grande e storica democrazia, in cui le decisioni prese dal proprio governo sono quindi avallate dal popolo. Ma anche l’Autorità Palestinese che governa la Cisgiordania e Gaza è una democrazia, con rappresentanti eletti e scelte politiche condivise.
Chiudo chiarendo una cosa: ho usato come contrappunto gli scritti letti nelle ultime settimane. In nessun modo vuole essere un attacco, perché ognuno ha il diritto di vedere torti e ragioni dove vuole. L’importante è che non si ostini a farli passare come l’unica verità, trattando chi la pensa diversamente come uno sciocco – nel migliori dei casi – o un traditore.

Fonte: http://www.articolo21.org
19 Agosto 2014

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