Trattare con Hamas? Sarà inevitabile


Paolo Affatato


Colloquio con Stefano Silvestri, esperto di geopolitica e geostrategia e Presidente dell’Istituto Affari Internazionali. Silvestri commenta il conflitto di Gaza, entrato ormai nella sua terza e decisiva fase, mentre Israele annuncia di essere vicina a conseguire i suoi obiettivi.


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Trattare con Hamas? Sarà inevitabile

L’islam politico, oggi rappresentato da Hamas, “non è certo una novità nello scenario mediorientale”. E in futuro Israele dovrà “giocoforza, accettare di trattare anche con esso”. La novità del conflitto di Gaza è, piuttosto, “l’uso spregiudicato della forza militare per conseguire obiettivi non militari”, con gravi conseguenze sulla popolazione civile. E’ l’analisi di Stefano Silvestri, esperto di geopolitica e geostrategia e Presidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). Silvestri commenta il conflitto di Gaza, entrato ormai nella sua terza e decisiva fase, mentre Israele annuncia di essere vicina a conseguire i suoi obiettivi
Sarà possibile per Israele vincere questa guerra? Non dovrà poi trattare con Hamas?
Questa è una guerra tattica, mirata indebolire Hamas. Nella “terza fase” Israele intende uccidere quanti più miliziani è possibile e distruggere le infrastrutture del movimento. Ma, per farlo, dovrà uccidere molti civili. Vedremo se, dietro la guerra, c’è una precisa strategia politica (magari in favore di Abu Mazen) o se questa manca. Se così fosse, la guerra di Gaza resterà solo un episodio militare di importanza relativa nel quadro del conflitto (ma con conseguenze negative per l’immagine di Israele). Sul futuro influirà molto la prospettiva elettorale: la strategia politica sarà piuttosto diversa a seconda di chi vincerà le elezioni, che siano Livni-Barak o Nethaniau.
Come leggere il conflitto israelo-palestinese oggi? Le categorie politiche sono ancora prevalenti o pesa di più il fattore religioso dell’islam politico?
L’islam politico non è una novità nella storia del ‘900, nè sulla scena internazionale, tantomeno in questo conflitto. In passato si sono sempre fatti i conti con l’islam politico e in futuro Israele dovrà giocoforza accettare di trattare anche con esso. La novità mi sembra invece l’uso spregiudicato della forza militare per conseguire obiettivi non militari: il che pone problemi nuovi di dottrina politica e militare. Gli episodi del bombardamento della scuola Onu o degli ospedali mi sembrano errori marchiani, figli di questa nuova impostazione.
Quale è il ruolo dell’Iran nel conflitto?
L’Iran cerca di sfruttare a suo vantaggio la situazione, per accrescere il suo ruolo di potenza regionale in Medio Oriente. Ma è coinvolto indirettamente nel conflitto di Gaza. E’ troppo semplicistico ed è errato affermare che l’Iran, sciita, controlla Hamas, che è un movimento musulmano sunnita. Un attore più importante mi sembra invece la Siria, quanto meno perchè i vertici di Hamas si trovano in Siria, e per i passati rapporti burrascosi con Israele.
Quale potrà essere la novità portata dalla presidenza Obama?
Obama non potrà certo smentire l’appoggio americano a Israele, ma credo avrà un approccio diverso da Bush. In campagna elettorale Obama si è sbilanciato su Gerusalemme, definendola “capitale unica e indivisa di Israele” (mai detto prima dagli Usa). Ma era campagna elettorale: oggi potrebbe parlare diversamente. Credo che, con Obama, vi sarà rapporto maggiormente dialettico e articolato fra Usa e Israele. Obama non vorrà lasciarsi bloccare da Israele nel suo tentativo di stabilizzare la regione mediorientale. Aspettiamo di capire la sua proposta, se sarà un negoziato di ampio respiro (in stile Camp David) o fatto di interventi diplomatici più limitati.

Fonte: giornali del Gruppo Espresso Repubblica, Lettera22

13 gennaio 2009

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