Sud Sudan: chi semina armi raccoglie rifugiati?


Fabrizio Floris


A Torino incontro pubblico su Guerra ed emigrazione in Africa: il caso del Sud Sudan, organizzato dall’Associazione Pole Pole nel teatro di San Secondo.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Sud-Sudan-chi-semina-armi-raccoglie-rifugiati_articleimage

Il Sud Sudan è il Paese più giovane del mondo: ha solo 6 anni, ma ha già conosciuto 3 anni di guerra. Non è la prima guerra che conosce la gente di queste parti: per anni il conflitto era contro il regime di Karthum, poi è arrivata la pace, il sogno di vivere in un Paese libero, l’euforia, il referendum per l’indipendenza a cui i sudsudanesi hanno risposto in massa per il si all’indipendenza. Ma dopo pochi anni è iniziata la razzia di tutte le entrate pubbliche, come documentato dal rapporto The Sentinel in cui si evince che 74 alte cariche dello stato hanno sottratto alle casse pubbliche in 3 anni 5 miliardi di dollari indirizzandoli verso conti personali. Quindi di nuovo la guerra, ma questa volta tutta interna, tra le milizie del presidente Salva Kiir e quelle del vicepresidente Riech Makar.

Racconta Daniele Moschetti dello scontro di luglio 2016 tra le truppe del presidente Kiir e del vice-presidente Machar proprio davanti alla sua casa quando sono morte 300 persone, e questo è noto, ma quello che non si sa è che durante il giorno “le truppe governative hanno ritirato i loro morti, gli altri sono stati lasciati lì a marcire finché non hanno iniziato a mangiarli i cani, poi dopo giorni è intervenuta la croce rossa internazionale, ma è stata vietata la conta dei morti: da allora non sappiamo quante persone siano morte. Quelle che si sono verificate negli ultimi tre anni sono atrocità mai viste, neanche durante gli oltre 20 anni di guerra con il nord c’erano stati episodi di questo tipo: migliaia di donne stuprate, bambini castrati, bambini bruciati vivi nelle capanne, anche i religiosi e le chiese non sono stati risparmiati, mentre in passato godevano di una certa protezione”.

Tutti i tentativi di mediazioni internazionale sono andati via via spegnendosi sotto il prevalere delle armi, non c’è nessun dialogo e quello che il governo cerca di fare è un processo di finta riconciliazione che sta portando ad un continuo allargamento del conflitto e delle zone di guerra prima relegata ai soli stati abitati dai nuer. Nel contempo per la quarta volta consecutiva il consiglio di sicurezza delle nazioni unite non è riuscito a votare un embargo internazionale sulla vendita di armi al Sud Sudan. Dovrebbe essere automatico in base ai principi del diritto internazionale che non si vedono armi ad un paese in cui è in corso una guerra civile. Ma gli interessi particolari dei singoli paesi continuano a prevalere, anche da parte di un imprenditore italiano c’è stato il tentativo, bloccato dalla magistratura, di vendere due elicotteri. Intanto 1,5 milioni di persone sono già state costrette a lasciare il paese spostandosi verso Kenya, Uganda ed Etiopia. Anche questa è una notizia che ci racconta che il peso maggiore delle migrazioni forzate non lo portano di paesi ricchi, ma soprattutto i paesi poveri in primis dell’Africa.

Daniele Moschetti continua ricordando che nel 2016 107 mila giovani italiani sono andati all’estero, che al primo gennaio 2017 risultano residenti all’estero 4,5 milioni di italiani. Anche noi ci spostiamo e ci siamo spostasti e forse quello che fa paura non è tanto l’immigrazione, ma la povertà. Quindi come se ne esce?

Il primo principio di soluzione, ricorda padre Daniele, siamo noi: “chiediamo conto ai nostri governi del loro operato sulle armi. I paesi dell’unione europea sono il secondo esportatore di armi al mondo, l’Italia nell’ultimo anno ha triplicato le esportazioni di armi, non possiamo seminare armi e poi lamentarci dell’arrivo dei rifugiati. Facciamo pressione perché l’unione europea e il consiglio di sicurezza dell’onu votino un embargo per la vendita di armi al Sud Sudan, protestiamo contro il migration compact con cui l’Unione Europea finanzia Turchia, Sudan e Niger per bloccare i migranti perché ricordiamoci che le dittature sono la causa delle migrazioni, non possono essere la soluzione. Non rassegniamoci, la voce di questo Paese è flebile come la voce di un bambino, ma per favore ascoltiamola”.

Fonte:: http://www.lavocedeltempo.it

7 marzo 2017

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento