Sri Lanka, offensiva finale


Junko Terao


Appena scaduto l’ultimatum ieri le forze dell’esercito hanno dato il via all’offensiva finale per annientare, in questa fase, ciò che resta dei guerriglieri tamil. Situazione catastrofica per i civili e accuse reciproche tra Tigri e governo di Colombo.


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Sri Lanka, offensiva finale

L’ultimatum di Colombo alle Tigri tamil è scaduto e la situazione, come si temeva, è precipitata. Ieri, alle 12 ora locale, le 8 di mattina ora italiana, l’ora x è scattata nel silenzio dei ribelli, che all’aut aut del governo che intimava loro di arrendersi non hanno replicato, e l’esercito ha iniziato la grande caccia. Obbiettivo ultimo, braccare il leader delle Tigri, Velupillai Prabhakaran, e sterminare i suoi uomini. “Sappiamo esattamente dove si nasconde, ma probabilmente si trova in mezzo ai civili, quindi dobbiamo fare attenzione a come agire per salvaguardare la loro incolumità”, ha fatto sapere il generale Gen Sarath Fonseka, capo dell’esercito e fautore dell’ “offensiva finale” voluta dal presidente Rajapaske. Su quanto davvero stia a cuore all’esercito di Colombo la sicurezza dei tamil intrappolati tra i due fuochi da mesi sorgono dei dubbi, visto che i numerosi appelli internazionali per una tregua umanitaria sono caduti nel vuoto. Poco prima dello scadere dell’ultimatum, l’Ltte è tornato ad accusare i militari di bombardamenti indiscriminati sui civili che durante l’operazione di liberazione di lunedì, che ha permesso a 35mila persone di entrare nella zona cosiddetta “sicura” controllata dai militari, sarebbero stati uccisi almeno in mille. Come sempre accade nei conflitti senza testimoni indipendenti, le due parti combattono parallelamente una guerra delle parole: volano accuse e controaccuse, denunce e repliche che non è possibile verificare, così secondo l’esercito governativo sarebbero 63mila i civili tratti in salvo negli ultimi due giorni grazie all’offensiva contro i ribelli entrata nella sua fase finale; mentre le Tigri dell’Ltte accusano i militari di aver usato i civili come scudi umani – accusa che il governo ha più volte rivolto ai ribelli – e di aver ferito, solo lunedì, almeno 2300 tamil. Le condizioni in cui si trova la popolazione nel fazzoletto di giungla rimasto finora inespugnato sono “catastrofiche”, secondo gli operatori del Comitato internazionale della croce rossa, l’unica organizzazione umanitaria presente nell’area calda. Ma il governo di Rajapaske continua a negare l’accesso ad altri soccorritori, così come ha sempre detto no a una tregua e a interventi esterni per cercare di risolvere il conflitto: “E’ un nostro problema e lo risolveremo noi”, ha fatto sapere ieri il portavoce dell’esercito Udaya Nanayakkara. Che ha anche negato che il salvataggio dei civili stia avvenendo nel corso di combattimenti: “man mano che sfondiamo le difese delle Tigri, i civili si uniscono a noi e noi li portiamo in salvo”. Sembra proprio che la fine sia questione di ore, ma i ribelli, ridotti ormai a poche centinaia, non mollano. “L’Ltte non si arrenderà mai, continueremo a combattere e confidiamo nella vittoria grazie all’aiuto del popolo tamil”, ha dichiarato Seevaratnam Puleedevan, capo del segretariato per la pace dell’Ltte. Puleedevan ha anche rivolto un appello alla comunità internazionale perchè intervenga chiedendo il cessate il fuoco permanente, “perchè sapete bene che stiamo per assistere ad un bagno di sangue”. A preoccupare, oltre al numero di morti tra i civili in continuo aumento, sono le condizioni i cui si trova la popolazione tratta in salvo. Se le cifre rese note dall’esercito sono reali, nei campi di assistenza allestiti dai militari ci sarebbero al momento oltre centomila sfollati in totale mancanza dei beni di primo soccorso necessari, come acqua, cibo e medicinali. “E’imperativo che organizzazioni umanitarie indipendenti siano autorizzate a fornire soccorsi ai civili intrappolati nella No fire zone”, ha detto ieri Pierre Kraehenbuel, responsabile delle operazioni del Cicr. E Human rights watch ha chiesto un’indagine dell’Onu per verificare i crimini di guerra commessi da entrambe le parti.

Fonte: Lettera22 e il Manifesto

22 aprile 2009

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