Spese militari: + 21% in 10 anni


Andrea Ferrari - Famiglia Cristiana


Per quest’ anno sono stati impegnati in Italia 23,3 miliardi per spese militari (1,4% del Pil), con un aumento del 21% sul 2006. È quanto emerge nel primo rapporto annuale “MILeX” sulle spese militari presentato, nei giorni scorsi, al Parlamento italiano da Francesco Vignarca e Enrico Piovesana.


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Nel 2017 l’ Italia destina circa 23,3 miliardi di euro alle spese militari, pari a oltre 64 milioni di euro al giorno, 2,7 milioni di euro all’ ora, 45 mila euro al minuto.

Aumenta la spesa per le missioni militari all’ estero: 1,28 miliardi nel 2017 (+7 per cento dall’ anno precedente).

Il boom della spesa in armamenti (+10% nel 2017, +85% rispetto al 2006) è sempre più a carico del Ministero dello Sviluppo Economico e finanziata con mutui onerosissimi (tassi del 30-40%, 310 milioni di interessi nel 2017).

Costi che appaiono fuori ogni controllo e che spesso vengono mascherati con capitoli di spesa o impegni su acquisti che, apparentemente, non riguardano spese militari.

“Non è in discussione”, è scritto nel rapporto, “che lo Stato debba investire risorse adeguate per mantenere operative ed efficienti le proprie forze armate. È discutibile che investa in spese militari risorse sproporzionate rispetto alle esigenze di sicurezza nazionale e alle stesse capacità gestionali dello strumento militare, per ragioni non pubblicizzabili (profitti dell’ industria bellica, privilegi della casta militare, vantaggi elettorali di politici, vincoli internazionali) e che quindi ricorra a false giustificazioni a effetto per ottenere il favore dell’ opinione pubblica che, altrimenti, non avrebbe. Ancor peggio quando lo Stato non mente solo ai cittadini ma anche ai suoi rappresentanti ovvero quando i vertici della Difesa, per ottenere il consenso del Parlamento all’ acquisto di nuovi armamenti, forniscono informazioni false e tendenziose in merito alla loro natura (abusando della retorica del “dual use” militare/civile, al punto di spacciare portaerei per navi-ospedale), al beneficio economico che ne deriverebbe (ricadute occupazionali e ritorni economici esagerati) e alle quantità necessarie (gonfiando i numeri dei mezzi da sostituire)”.

Nel rapporto, poi, viene messo in evidenza che tra le spese militari viene dedicata poca attenzione alla sfida del futuro, la cyber-sicurezza, su cui l’ Italia pare ancora molto indietro rispetto ad altri Paesi.

“A fronte degli ingentissimi investimenti in programmi militari di difesa tradizionale, ovvero riguardanti la difesa terrestre, navale, aerea e spaziale”, scrivono Vignarca e Piovesana, “ancora minima appare l’ attenzione, anche finanziaria, riservata alla difesa del futuro, ovvero quella inerente al cyber-spazio. I conflitti che verranno si combatteranno sempre meno con carri armati, navi da guerra e cacciabombardieri, e sempre più con armi informatiche in grado di danneggiare o mettere in ginocchio un Paese colpendo con un click, invece che con le bombe, le sue reti informatiche da cui dipendono i servizi strategici (reti elettriche, idriche e telecomunicazioni). Non solo gli Stati, ma anche i gruppi terroristici fanno sempre più ricorso al cyber-spazio, per ora solo a scopo organizzativo ma è facile prevedere che presto lo utilizzeranno anche come strumento di attacco”.

In questo contesto le risorse economiche messe in campo sembrano essere davvero limitatissime: “I finanziamenti destinati a rendere operativa una seria struttura di cyber-defense sono ancora molto limitati e soprattutto incanalati in ambito di intelligence civile, piuttosto che di struttura militare. Lo stanziamento 2016 di 150 milioni per la cyber-sicurezza nazionale – un ‘una tantum’ non confermato per il 2017 – è destinato per un decimo al Cnaipic della Polizia postale, e gli altri 135 milioni al Sistema di informazione per la Sicurezza della Repubblica, vale a dire ai servizi segreti”.

I numeri sulle spese militari sono spesso contrastanti. Appare certo poco allineata la dichiarazione del Ministro Pinotti che di recente ha precisato come «sulla Difesa non si può più tagliare, dopo che negli ultimi dieci anni le risorse a disposizione sono state ridotte del 27 per cento. Tutto quello che si doveva tagliare si è tagliato, ma ora sul capitolo Difesa è venuto il momento di tornare ad investire». In realtà il rapporto racconta altri numeri. In realtà il rapporto evidenzia come “nei bilanci della Difesa non vi è un taglio bensì un aumento delle risorse del 7 per cento (da 19 a 20,3 miliardi) in sostanziale costanza del rapporto budget Difesa/Pil (1,28-1,25 per cento), dato, quest’ ultimo, indicativo della volontà politica di destinare alla Difesa una porzione fissa della ricchezza nazionale. L’ evidenza dei dati ufficiali dello stesso Ministero della Difesa mostra in realtà un aumento del 3,2 per cento nel 2016 (20 miliardi) rispetto al budget 2015 (19,4 miliardi) e anche un lieve aumento in termini percentuali sul Pil (da 1,18 a 1,21 per cento)”.

In Italia, infatti, la spesa militare non comprende solo il budget del Ministero della Difesa ma anche una seria di altre ingenti spese a carico di altri ministeri ed enti pubblici e di non facile computazione. MIL€X ha condotto un’ approfondita e rigorosa analisi documentale e contabile, elaborando un inedito metodo di calcolo della spesa militare italiana in grado di rappresentare nel modo più corretto ed esaustivo possibile il complesso groviglio della spesa pubblica destinata annualmente al settore militare nazionale. Per il calcolo delle spese militari vengono introdotti tre elementi.

Il primo riguarda le spese per il costo del personale militare a riposo dopo i primi cinque anni di pensione provvisoria in ausiliaria a carico del Ministero della Difesa, quindi di tutto il restante esborso pensionistico a carico dell’ Inps (dell’ Inpdap fino al 2011). È un trattamento pensionistico molto privilegiato e oneroso per la fiscalità generale non solo perché prevalentemente basato sul sistema retributivo, ma anche perché i militari percepiscono pensioni notevolmente maggiori rispetto alla media dei dipendenti pubblici e maturano il diritto alla pensione prima degli altri.

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Il secondo elemento metodologico include nel ricalcolo delle spese militari i finanziamenti annualmente destinati alle missioni militari all’ estero. “Per ammissione stessa della Difesa”, è scritto nel rapporto, “tali finanziamenti costituiscono ormai un elemento essenziale e irrinunciabile per far fronte alla quasi totalità delle spese di esercizio, in particolare per garantire la manutenzione dei mezzi e l’ addestramento del personale”.

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Il terzo e ultimo elemento riguarda l’ inclusione nel ricalcolo delle spese militari dei sempre più massicci contributi finanziari del Ministero dello Sviluppo Economico ai più onerosi programmi di acquisizione e ammodernamento di armamenti della Difesa (programma F-35 escluso). “Cifre che, tra stanziamenti diretti e contributi pluriennali, superano ormai i 3 miliardi l’ anno, cioè gran parte dell’ intero budget annuo del Ministero dello Sviluppo Economico destinato alla principale missione del ministero, ovvero gli investimenti a sostegno della competitività e sviluppo delle imprese italiane”.

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“Le aziende del comparto della Difesa beneficiarie dei finanziamenti del Ministero”, sottolineano Vignarca  e Piovsana, “sono principalmente quelle del gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo), Fiat-Iveco e Fincantieri. La scelta di destinare gran parte dei finanziamenti per le imprese a questo settore, che in Italia conta 112 aziende (12 grandi e 100 piccole e medie) per un totale di 50 mila occupati e 15,3 miliardi di fatturato, rischia di penalizzare il settore industriale civile e in particolare il comparto della Pmi, che da solo conta 137 mila aziende per un totale di 3,9 milioni di occupati e 838 miliardi di fatturato. Finanziamenti decisi da governi di ogni colore a partire dai primi anni ‘90 per un totale di oltre 50 miliardi di euro”.

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Secondo i dati ricalcolati da MIL€X con i tre nuovi parametri, “nel 2017 l’ Italia destina circa 23,3 miliardi di euro alle spese militari, pari a oltre 64 milioni di euro al giorno, 2,7 milioni di euro all’ ora, 45 mila euro al minuto. Rispetto al 2016 si registra un aumento di quasi l’ 1 per cento a valori correnti con un rapporto spese militari/Pil che rimane vicino all’ 1,4 per cento. Aumenta la spesa per le missioni militari all’ estero: 1,28 miliardi nel 2017 (+7 per cento dall’ anno precedente). Fondi destinati a finanziare l’ impiego di 7.600 uomini, 1.300 mezzi terrestri, 54 mezzi aerei e 13 navali in decine di missioni attive in 22 Paesi, nel Mar Mediterraneo e nell’ Oceano Indiano. Nel 2017 aumenta l’ impegno militare italiano in Libia, con costi triplicati e scenari sempre più incerti, e quello nelle missioni Nato in funzione anti-russa lungo la nuova “cortina di ferro” che corre dal Baltico al Mar Nero. Raddoppiano, inoltre, gli stanziamenti per le missioni in Turchia, triplicano quelli per le operazioni dei servizi segreti e aumentano quelli per la missione in Iraq.

Anche sul fronte interno nel 2017 aumenta l’ impegno delle forze armate: oltre 7 mila soldati impiegati in funzione antiterrorismo e anticrimine nell’ ambito dell’ operazione “Strade Sicure”: il relativo lo stanziamento è aumentato di quasi il 50 per cento rispetto al 2016, passando da 81 a 120,5 milioni di euro”.

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“Nel 2017 l’ Italia ha aumentato rispetto al 2016 sia lo stanziamento previsionale a bilancio Difesa per i programmi di acquisizione e ammodernamento di armamenti (+11 per cento), sia i contributi che il Ministero dello Sviluppo Economico destina allo stesso scopo (+8,9 per cento), che ammontano alla cifra record di quasi 3,4 miliardi (comprensivi di 310 milioni di interessi sui mutui di finanziamento), vale a dire l’ 86 per cento dell’ intero budget 2017 per gli investimenti a sostegno della “Competitività e sviluppo delle imprese” italiane. Sommando le due voci, la spesa annua complessiva in armamenti nel 2017 supera i 5,6 miliardi (pari a otre 15 milioni di euro al giorno), con un aumento di quasi il 10 per cento sul 2016, arrivando a rappresentare quasi un quarto della spesa militare complessiva.

Uno degli elementi che emerge dal rapporto è il progetto degli F-35. Il primo rapporto di MIL€X mette in evidenza “il fenomeno della sproporzione rispetto alle esigenze e dell’ indeterminatezza di costi e tempistiche nei programmi di acquisizione armamenti ha il suo caso emblematico nella vicenda dell’ acquisto da parte dell’ Italia dei cacciabombardieri di fabbricazioni americana Joint Strike Fighter F-35 prodotti da Lockheed Martin. Un programma deciso definitivamente nel 2009”. Ma quali sono i costi e  gli investimenti per gli F-35? Nel primo rapporto sulle spese militari si evince che “le stime riguardanti l’ entità economica dei contratti d’ acquisizione firmati dall’ Italia non può al momento avere certezza assoluta poiché la Difesa continua a rifiutarsi di rendere pubblici tali documenti e i conteggi finanziari relativi. Le critiche piovute addosso al programma Joint Strike Fighter in questi anni non si sono però limitate all’ alto costo e alle opache dinamiche di tempistica. La grande rilevanza ottenuta anche in Italia da questo aereo militare risiede nelle innumerevoli problematiche di tipo tecnico che il programma ha incontrato, con numerosi incidenti e fallimenti e con le numerose necessità di aumentare i fondi per tentare di “porre rimedio” a capacità operative non adeguate agli standard previsti (oltre che veri e propri errori di progettazione). Una situazione paradossale, e duramente criticata anche negli Stati Uniti dalle strutture interne al Governo e alla stessa Difesa”.

Fonte: www.famigliacristiana.it

22 febbraio 2017

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