Somalia, ultima chiamata


AGI Mondo ONG


L’Italia può sollecitare una vasta iniziativa europea per la distensione regionale e la pace. Ma occorre fare in fretta: la gravità della situazione politica, militare e umanitaria del Paese non consente di aspettare oltre.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Somalia, ultima chiamata

La situazione della Somalia è sempre più grave. Il comunicato del Programma Alimentare Mondiale (Pam) dello scorso 5 gennaio nel quale si annuncia la sospensione delle operazioni umanitarie a causa delle minacce ricevute dai gruppi estremisti rappresenta uno degli ultimi step di una crisi all’apparenza senza vie di uscita, la cui gravità va valutata sia per le cause che hanno determinato la decisione del Pam sia per le sue possibili conseguenze: Per prevedere queste ultime è sufficiente ricordare che l’assistenza dell’agenzia per gli aiuti alimentari delle Nazioni Unite in questa regione era indirizzata a circa un milione di persone. La 'cronaca' somala della prima metà di gennaio del 2010 registra continui scontri tra truppe governative appoggiate dai peacekeeper panafricani e i gruppi di Al Shabaab che combattono contro  il governo federale di transizione guidato da Shek Sharif Shek Ahmed, ex capo dell'esecutivo dell’Unione delle Corti Islamiche.

Guerra e povertà
Vale poi la pena di ricordare che la regione nella quale si colloca la Somalia – il Corno d’Africa – propone due “peculiarità”. In primo luogo è tra le aree più povere, se non la più povera del mondo, alla luce di diversi criteri di analisi: reddito pro capite, accesso ai servizi sanitari e stato di salute, accesso a beni primari e alimentari, accesso all’istruzione, livelli di sicurezza e stabilità. La seconda peculiarità riguarda la gravità e la durata dei conflitti: il territorio della Somalia centro meridionale è privo di un credibile quadro statuale dalla fine del 1990 e che dal 1961 al 1991, fino cioè alla caduta della giunta militare etiopica filo -sovietica, si sono fronteggiati militarmente il governo di Addis Abeba e i movimenti eritrei, dando vita alla più lunga guerra dell’Africa post coloniale. Una guerra peraltro poi solo interrotta fino al 1998, quando si sono ripresi i combattimenti, a questo punto tra due Stati sovrani, alla guida dei quali erano e sono tutt’oggi gruppi dirigenti che avevano cementato una lunga alleanza all’epoca della comune lotta contro il governo di Menghistu Haile Mariam. E’ in questo intricato quadro politico che si innesta oggi una rinnovata priorità geopolitica per gli Stati Uniti e l’Europa. Di Somalia, in particolare, hanno ripreso a parlare i mezzi di comunicazione occidentali dopo il fallito attentato di Natale 2009 su un aereo diretto a Detroit. Una parte significativa del territorio somalo è oggi controllato da Al Shabaab e, sebbene risulti molto difficile catalogare ideologicamente tale movimento, desta da più parti legittima preoccupazione la sua vicinanza ad Al Quaeda (si veda l’intervista al presidente Shek Sharif Shek Ahmed sul Sole 24 Ore del 7 giugno 2009 'Italia, difendici da Al Quaeda'). E’ anche per questo che la parola Somalia torna nell’agenda dei policy makers occidentali.

La sfida della ricostruzione
E’ difficilissimo anche solo ipotizzare cosa fare oggi in Somalia, ma si possono almeno esprimere orientamenti e auspici di carattere generale. Il principale è questo: occorre definire e attuare una pluriennale strategia di ricostruzione del Paese. La sfida da raccogliere è difficilissima e incerta ,e non è lecito, soprattutto dopo che in Somalia sono fallite in circa vent’anni varie conferenze di riconciliazione nazionale, illudersi che il cammino sia breve. Ma qual è l’alternativa? Anche volendo accantonare per un attimo considerazioni di carattere umanitario (e le ONG non vogliono comunque farlo) è un fatto che lasciare il paese in mano all’estremismo interno e internazionale è obiettivamente pericoloso per tutti. Per i Paesi confinanti, in primo luogo, ma non solo. La capacità di proselitismo di Al Shabaab non nasce tanto dall’adesione al suo progetto ideologico, quanto dalla disperazione e dalla gravità della crisi sociale e umanitaria. E’ innanzitutto a questa disperazione che occorre dare risposte concrete.
L’Italia  può sollecitare una vasta iniziativa europea, politica e di cooperazione, per la distensione regionale e la pace e la ricostruzione in Somalia. La convocazione di una Conferenza internazionale aperta anche ai settori della società somala che in vent’anni non hanno mai smesso di provare a ricostruire il paese  e ai paesi della regione può costituire uno strumento efficace per dare un segnale concreto che la Somalia non è stata dimenticata e coordinare interventi internazionali che, anche a causa della fragilità di chi dovrebbe armonizzarli – il governo federale di transizione – rischiano di essere frammentati e tra loro poco coerenti. Occorre fare in fretta. La gravità della situazione politica, militare e umanitaria della Somalia non consente di aspettare oltre.

Fonte: ong.agimondo.it
22 Gennaio 2010

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento