Smettere con questa guerra aiuterebbe a uscire dalla crisi


Checchino Antonini


Alla vigilia della Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli una delegazione di pacifisti è stata a Kabul. Flavio Lotti: «Nessuno a Kabul ci ha detto che le cose stiano migliorando».


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Smettere con questa guerra aiuterebbe a uscire dalla crisi

Riportiamoli a casa, uscire dal pantano afghano, tagliare le spese militari? «Sottoscrivo quello che avete scritto sulla prima pagina ma vorrei aggiungere una cosa: non abbandoniamo gli afghani. Si riapra finalmente il dibattito sul futuro dell'impegno italiano in quel paese», dice Flavio Lotti, portavoce della Tavola della pace, all'indomani delle rivelazioni di Liberazione sullo smantellamento della rete di intelligence che gli italiani avevano messo su tra le madrasse e gli ambienti tribali. Un network di informatori che doveva servire alla sicurezza dei nostri ragazzi ma che, nelle more delle lotte intestine tra barbe finte, è stata neutralizzata tre anni fa. I confidenti arrestati e torturati dai servizi pakistani. E da quel momento è triplicato il numero dei soldati italiani uccisi e feriti nel pantano afghano. Il paradosso è che proprio mentre tornava, avvolta nel tricolore, la quarantunesima salma, il Senato votava senza sbattere ciglia l'ennesimo finanziamento della missione.
«Il problema è generale e profondo – prosegue Lotti – e affonda le radici nella crisi che sta vivendo la politica italiana, è un dibattito prigioniero di se stesso e di questa crisi finanziaria che non sembra lasciare spazio a null'altro. Ma è evidente che questa crisi è la figlia di un contesto internazionale. Serve un approccio internazionale per trovare una via d'uscita: Libia, Afghanistan e altre ingiustizie mondiali sono questioni prive di sedi di confronto e si continua ad agire con codici antiquati dentro uno scenario che muta rapidamente. Altri Paesi ne stanno discutendo, invece il nostro Parlamento ha un approccio burocratico perfino quando torna una bara avvolta dal tricolore». Lotti, immerso nella preparazione della cinquantesima marcia Perugia-Assisi (24 settembre), rilancia il discorso sui tagli delle spese militari: 24 miliardi l'anno, quasi una manovra solo per le grandi manovre. «Penso che ci sia tutto da guadagnare chiudendo la missione e ridefinendo il nostro ruolo aiutando quel popolo e risparmiare risorse da dirottare su problemi più urgenti». Secondo la Tavola per la pace, appena tornata da una missione di pacifisti italo-americani a Kabul, il 30% di quello che si risparmia dovrebbe servire a investire sulla sicurezza degli afghani e sulla crescita di quella società civile. «Ragionevolmente si può partire dalla cancellazione del programma di acquisto dei 131 cacciabombardieri F-35 (venti miliardi di euro complessivamente) e dalla completa revisione di tutti i 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma che ipotecano la nostra spesa militare fino al 2026. Smettere di fare guerre (peraltro vietate dalla Costituzione) ci aiuterà a risanare il debito pubblico meglio di qualunque altro taglio alla scuola, agli enti locali o alle pensioni». A questo punto il cronista domanda perché sia così difficile saldare le battaglie pacifiste al movimento che prova a muoversi contro la manovra e contro la crisi. «Vedo che c'è un blocco politico trasversale che si rifiuta di toccare quel capitolo del bilancio, lo fa in maniera pregiudiziale». Solo da pochi giorni, Lotti è tornato da Kabul dove, assieme a una missione di pacifisti Usa e italiani più uno dei familiari delle vittime delle Twin Towers, ha toccato con mano che quel paese è «privo di quei segni e di quelle speranze che possano far dire che lentamente ci stiamo muovendo nella direzione giusta. Nessuno che ci abbia detto che le cose stanno migliorando. Gli afghani già temono le conseguenze di dieci anni di guerra: stiamo lasciando armi, macerie, odio. Il rischio più probabile è che quel paese ritorni preda dei signori della guerra. La società civile, le organizzazioni per i diritti umani, saranno le prime a essere messe fuori gioco». Il bilancio, dall'11 settembre, è impressionante: oltre 225mila le persone uccise e altre centinaia di migliaia di corpi mutilati e feriti. Da qualunque punto di vista si guardi la guerra sconfessa ogni istante le ragioni dei "falchi". Sempre.
Per l'imminente Perugia-Assisi è stato ripreso l'appello scritto nel 1997 per convocare la marcia di allora. Già dal titolo- Per un'economia di giustizia – si denunciavano «le cose che stanno accadendo oggi e indicavamo possibili soluzioni. C'è solo da aggiornare qualche cifra – continua Lotti – dicevamo che l'economia uccide più delle bombe e ora l'ingiustizia globale ha aumentato il divario tra ricchi e poveri. Per non sprofondare bisogna disarmare la finanza, investire sulla cooperazione, lottare contro le disuguaglianze, disegnare uno sviluppo sostenibile ecologicamente e umanamente». E questa manovra? «Va dalla parte opposta, non si vuole capire che bisogna cambiare il modello di sviluppo». Sembra di ascoltare l'appello per la marcia degli indignati del 15 ottobre: «Non è facile con un quadro politico così bloccato – conclude Lotti – bisogna aumentare la mobilitazione e aiutare la gente a capire».

Fonte: Liberazione

15 settembre 2011

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