Siria: omaggio ad Hama


Il Mondo di Annibale


Saggio-reportage del professor Omar S. Dahi, dedicato alla questione delle minoranze etniche e confessionali in Siria. Di seguito la parte relativa al viaggio ad Hama prima che le forze di sicurezza siriane reprimessero brutalmente la pacifica rivolta dei cittadini di Hama.


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Siria: omaggio ad Hama

Siamo di nuovo qui e abbiamo deciso di riprendere la nostra attività traducendo una parte del lungo articolo pubblicato dal professor Omar S. Dahi, Assistant Professor of Economics all’Hampshir College con il titolo “ Syrian Drama” in Syria Comment. Domani pubblicheremo un altro stralcio di questo importantissimo saggio-reportage, dedicato alla questione delle minoranze etniche e confessionali in Siria. Qui la parte relativa al viaggio ad Hama, città martire, compiuto dal professore Dahi pochi giorni prima che le forze di sicurezza siriane reprimessero brutalmente la pacifica rivolta dei cittadini di Hama.

Sono partito da Damasco alle 7,30 del mattino, con un autobus di linea. Ero nervoso, perché temevo che non sarei riuscito ad entrare ad Hama. Avevo sentito storie di violenze indicibili contro la popolazione della città e dei suoi dintorni.

A bordo eravamo in 12 e alcuni avrebbero proseguito per Aleppo. Fino al nostro arrivo ad Homs abbiamo incontrato pochissime pattuglie o posti di blocco, ma subito dopo sono comparsi i carri armati, una ventina. Poco prima di arrivare ad Hama siamo stati fermati da agenti di un corpo di sicurezza che non avevo mai sentito nominare prima, con uniforme nere e verde scuro e la scritta “unità anti-terrorismo” sulla schiena.  Salendo a bordo mi hanno subito sorpreso: non ci hanno chiesto i documenti d’identità, volevano sapere se ci fossero  soldati. Ovviamente sapevo delle voci di defezioni nei ranghi dell’esercito ed ho ritenuto che cercassero proprio dei disertori. Devo aggiungere che per quanto ne sappia non ci sono state defezioni di alti gradi, per quanto molti soldati sembra che abbiano effettivamente abbandonato l’esercito.

Quel check-point era l’ultimo simbolo del potere governativo, da quel momento in poi siamo entrati in una città liberta, senza alcuna presenza militare, non c’erano neanche i vigili urbani. Dopo le dimostrazioni di massa le forze di sicurezza si erano ritirate da Hama, lasciando la città padrona di se stessa, e ognuno riteneva che questo rendesse imminente un attacco, poi verificatosi il giorno prima l’’inizio del Ramadan.

Per cercare di ostacolare l’attacco governativo gli abitanti di Hama avevano eretto barricate di fortuna attraverso le principali strade cittadine, affidate a gruppi di uomini tra i 15 e i 50 anni: di questi, qua e là, due o tre dirigevano il traffico. Erano disarmati e cordiali, tanto da avermi consentito di scattare liberamente diverse fotografie, e mi hanno salutato –con un tono leggermente depresso- direttamente in inglese, sicuri che fossi uno straniero e non un connazionale. I giovani in particolare prendevano il loro lavoro di vigili urbani molto seriamente, “ più di quelli che lo fanno per davvero”, ho sentito dire da tanti di loro. Eppure il sole picchiava proprio…

Le barricate di Hama non avrebbero potuto fermare nessun attacco governativo, questo la popolazione lo sapeva bene. Tutto quello che speravano di ottenere era di rallentare un attacco nemico, in modo da non essere colti di sorpresa.

Ne ho sentite di storie durante il mio soggiorno ad Hama, come quella degli alawiti (la comunità in maggioranza montanara alla quale appartiene la famiglia Assad) che per paura di “rappresaglie confessionali” non sarebbero andati a lavorare ad Hama in quei giorni, rimanendo nei loro villaggi di montagna. Ma durante la mia permanenza non c’è stato un solo episodio di violenza settaria e l’unica scritta contro gli sciiti (la confessione degli alawiti) l’ho vista in una strada dell’estrema periferia di Hama.

La città era piena di vita, i mercati affollati, e dopo diversi giorni di sciopero generale tutti gli esercizi restavano aperti fino a tardi, anche oltre l’una di notte.

La vita sembrava non fermarsi in quei giorni ad Hama: non c’erano né gruppi armati né cose del genere. Tutti i negozi di liquori che ho visto erano aperti (la rivolta di Hama è stata definita fondamentalista dalla propaganda del regime siriano). Ne ho di fotografie di quei negozi di liquori, le ho scattate per farle vedere ai miei amici cristiani di Damasco convinti che Hama fosse sotto il controllo dei famigerati Salafiti (i più fanatici tra i fondamentalisti islamici appartenenti al gruppo confessionale prevalente in Siria, i sunniti)!

Passeggiando in centro non ho visto segni di vandalismo né danneggiamenti a proprietà pubbliche.

Quanti racconti ho sentito invece sulla corruzione del regime, soprattutto sull’acquisizione illegale di terreni da parte di quelli dei circoli ristretti del potere, a partire dai partner del famigerato cugino del presidente. …

Una fonte affidabile ci ha riferito di un’imboscata da parte degli insorti che ha avuto luogo proprio davanti a casa sua. Un informatore delle forze di sicurezza aveva condotto i dimostranti proprio  dove li attendevano i soldati, causando la morte di dieci insorti. Successivamente l’informatore era stato ucciso e il suo corpo gettato nel fiume Oronto. Mi è stato detto che altri casi del genere si erano verificati ed era accaduto anche che fossero state compilate liste di “collaborazionisti”, gli elenchi affissi sul portone della moschea. Ovviamente c’erano stati anche degli errori, tanto che un cittadino aveva dovuto chiedere ad alcuni amici di esporsi in sua difesa e “pulire” il suo nome.

Le dimostrazioni notturne di Hama sono state eventi molto importanti. In quelle circostanze non solo si pianificavano le iniziative che avrebbero avuto luogo il giorno seguente, ma si è creato anche uno spazio sociale nel quale diversi settori della società si incontravano. Così le dimostrazioni notturne sono diventate “il luogo” dove gli eventi nazionali venivano discussi. Io sono partito per partecipare a queste manifestazioni dal quartiere del Castello di Hama, passando dal caffè dell’hotel Apamea. Quel caffè si trova in un punto davvero stupendo, con una vista spettacolare su diversi quartieri del centro storico cittadino. E’ la zona che venne rasa al suolo nel 1982, (durante i massacri ordinati da Assad padre) dopo essere stata l’area urbana architettonicamente più bella della Siria. Gli insorti vi si erano asserragliati nella convinzione – poi rivelatasi sbagliata- che il governo non avrebbe osato bombardare quell’area  dall’indiscusso valore storico.

Sono arrivato in piazza subito dopo la fine della preghiera. Arrivando ho visto molte persone che concludevano la loro preghiera serale in piazza. Intanto i giovani ai posti di controllo organizzavano il traffico cittadino. Mi sono fermato ad un angolo d’accesso alla piazza e ho seguito il flusso della gente che arrivava. A piedi, in taxi,  bordo dei minibus, tantissima gente, uomini, donne, ragazzi, affluiva senza sosta. Sembrava che tutta la città si stesse riversando in piazza. La piazza sembrava già piena, ma la gente che seguitava ad affluire era ancora tantissima. I ragazzi in particolare cantavano slogan contro il regime.  I caffè e i mercati erano ancora aperti e tutto sarebbe rimasto così fino a notte fonda.

Non si è trattato soltanto di un manifestazione contro il regime. Si è trattato di un evento nel quale la gente riunendosi ha parlato delle notizie del giorno, si è scambiata informazioni ed ha avanzato richieste. Tra le richieste di quella sera ad esempio c’è stata quella di alleggerire i controlli ai vari check-point, che stavano diventando un problema soprattutto per i giovani impegnati all’università. Ci sono state molte richieste quella sera, ma un tema molto sentito e dibattuto è stato quello della solidarietà nei confronti di città e individui che avevano avuto il coraggio di pronunciarsi contro il regime. La maggior parte degli slogan scanditi invocavano uniti interconfessionale e i molti cristiani presentati sono stati ripetutamente  applauditi dal resto della folla. Intanto i negozi seguitavano ad essere aperti e i commercianti seguivano i loro affari come se tutto ciò fosse normale.

Hama è sempre stata una città conservatrice. Ma pochissime donne indossavano il velo e pressoché nessuna il “velo integrale”, il niqab, che per altro rappresenta un fenomeno proprio di altre città, come Damasco. Non ho visto alcun segno di fondamentalismo ed escludo che la rivolta, l’intifada di Hama, possa essere in alcun modo  ridotta a un seguito dei fatti del 1982. A mio parere è più accurato dire che Hama è una città con una storia collettiva di mobilitazione contro l’ingiustizia, una storia di sfida, più antica del regime degli Assad, e proprio per questo suo carattere Hama ha ripetutamente pagato un prezzo latissimo. Per questo era pronta a pagarlo di nuovo. Non si trattava di sete di vendetta contro il regime per i fatti del 1982, come avevo sentito dire da tanti a Damasco. La genuina felicità del conseguire la libertà era molto più forte del supposto desiderio di vendetta per il massacro baathista. Lo slogan che ho sentito più spesso scandire, giorno e notte,  era questo: “La libertà è bella”.

Pochi giorni dopo che ho lasciato Hama il governo h attaccato. 100 persone sono state uccise nei primi due giorni di assalto. La TV siriana ha parlato di criminali armati che terrorizzavano la popolazione, tanto che sarebbe stata proprio la popolazione a chiedere l’intervento dell’esercito. Io ho visto con i miei occhi che tutto questo sono soltanto menzogne. La popolazione di Hama sapeva perfettamente di cosa è capace il regime di Bashar al-Assad e cosa stesse progettando. Ciò nonostante ha scelto il coraggio e la sfida.

Il regime non uscirà vittorioso da questo bagno di sangue come è accaduto nel passato. Questa volta le altre città siriane non hanno voltato le spalle ad Hama come era accaduto in passato.   La causa di Hama non è stata né “fondamentalista”, né violenta. Hama ha espresso i sentimenti del popolo siriano in modo pacifico.

Fonte: http://www.ilmondodiannibale.it
15 Agosto 2011

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