Ma a che serve camminare per la pace?


Piero Piraccini


Come sosteneva Norberto Bobbio: “ se serve acqua e tutti i contadini del mondo fanno una danza della pioggia, non è detto che piova davvero, ma se tutti i cittadini del mondo partecipano a una marcia per la pace, allora è certo: le guerre finiranno”.


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Foto di Roberto Brancolini ® 

Quale mai guerra terminerà perché c’è chi, pochi o molti che siano, cammina sollevando cartelli che riportano parole inusuali per chi le guerre, invece, le fa? Parole che declinano i diritti di cui ognuno deve godere solo perché esiste, perché in qualunque luogo sia nato o qualunque sia il colore della sua pelle, quei diritti sono suoi come di chiunque altro: è il diritto alla pace. Il più scontato dei diritti e, nello stesso tempo, il più vilipeso. Con la produzione di armi, con la guerra, con la fame, con lo stupido consumo di risorse non rinnovabili, con il loro colpevole accaparramento. Eppure cos’altro deve succedere perché quel diritto sia fatto proprio da chi potrebbe imporlo? Ognuno per il posto che occupa nel mondo e con la responsabilità che gliene deriva. Con la forza delle leggi del diritto, a partire dal ripudio della guerra quasi urlato – tanto è potente quel verbo: ripudia – dalla nostra Costituzione, fino allo statuto delle Nazioni Unite che nei suoi 111 articoli non cita mai la parola guerra, bandita dal diritto internazionale e, nei conseguenti trattati, fin punita nel suo essere propagandata. Con l’applicazione dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si pone l’obiettivo di un mondo in cui la povertà sia sradicata, l’uguaglianza perseguita, le risorse protette. Eppure Aleppo, la nuova Guernica, eppure i morti per fame o per malattie curabili, eppure le migrazioni perché la siccità distrugge la vita. Parte di chi ieri ha camminato da Perugia ad Assisi, foss’anche la gran parte, forse non conosce la Costituzione né lo statuto dell’ONU né i 17 Obiettivi, ma ne ha interpretato lo spirito ed era lì, lungo quella strada, perché quei principi le sono propri, perché le sono innati. Ed è per questo che la Marcia della Pace è così ben interpretata da così tanti soggetti: perché risponde al meglio di ognuno, ed è attesa come un dono cui non si può rinunciare. Ed è proprio per questo che lavorare per renderla possibile pesa sì, ma non tanto da non pensare subito alla prossima. Che è già cominciata con gli occhi di quei bambini che a Santa Maria degli Angeli interpretavano brani di scuola all’aperto, dei ragazzi con i visi dipinti e le bandiere al vento presso la rocca di Assisi, degli adulti alcuni dei quali potevano raccontarsi le marce precedenti, con le parole del presidente Mattarella, della presidente Boldrini e di Papa Francesco. Perché alla guerra a pezzetti è stata opposta la pace, perché all’utopia della guerra – ché la guerra non ha mai risolto nulla e, al suo termine, ha lasciato i problemi che intendeva risolvere mille volte più gravi di prima – ha risposto il realismo della pace. Perché alla risposta sconsolata di quel ragazzo che di fronte alle trincee della grande guerra, ha detto: “La storia ci insegna che dalla storia non s’impara niente” bisogna pur dare una risposta. La Marcia è quella risposta perché, come sosteneva Norberto Bobbio “ se serve acqua e tutti i contadini del mondo fanno una danza della pioggia, non è detto che piova davvero, ma se tutti i cittadini del mondo partecipano a una marcia per la pace, allora è certo: le guerre finiranno”.

Piero Piraccini

10 ottobre 2016

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