Senegal: terre rubate e scelte sbagliate, pagano i contadini


Misna


In 12 anni di politiche liberiste, la situazione del mondo rurale è notevolmente peggiorata. Non solo lo Stato ha messo fine ai sostegni finanziari e materiali agli agricoltori, ma ha anche sottratto terre a chi le coltivava da decenni.


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Senegal: terre rubate e scelte sbagliate, pagano i contadini

“In 12 anni di politiche liberiste, la situazione del mondo rurale è notevolmente peggiorata. Non solo lo Stato ha messo fine ai sostegni finanziari e materiali agli agricoltori, ma ha anche sottratto terre a chi le coltivava da decenni per darle a politici vicini al presidente o a compagnie straniere con contratti firmati senza alcuna trasparenza”: è cupo il quadro del Senegal rurale tracciato alla MISNA da Seydi Gassama, direttore di Amnesty Senegal e esperto di questioni agricole. Oggi il 50% dei senegalesi lavorano ancora nel settore primario ma in condizioni che si sono deteriorate e, secondo fonti locali dell’Onu, a sette mesi dai prossimi raccolti 800.000 persone patiscono già la fame. “Possiamo dire – denuncia il difensore dei diritti umani – che nell’ultimo decennio gli agricoltori sono stati abbandonati dallo Stato, sono più poveri e vivono sempre di più nell’insicurezza economica e alimentare” . Per l’interlocutore della MISNA l’operato del presidente Aboulaye Wade e del suo Partito democratico senegalese (Pds, liberale) nel settore agricolo è un “fallimento totale nonostante i proclami di successo del potere”, ad esempio con la ‘Grande offensiva per il cibo e l’abbondanza’ (Goana). Un fallimento da imputare alla scelta di non puntare sulle colture di cereali, che invece avrebbero consentito di migliorare la sicurezza alimentare. “Sulla carta – dice Gassama – i senegalesi sarebbero stati in grado di dare da mangiare ai senegalesi, ma la realtà è tutt’altra. Ci troviamo costretti a importare a caro prezzo riso, miglio, sorgo e granoturco per coprire il fabbisogno”. Altra scelta errata della gestione Wade è stato il disinteresse per la coltura delle arachidi, fino al 2000 fiore all’occhiello del paese, che veniva trasformata localmente in olio destinato al mercato mondiale. “Oggi – aggiunge il direttore di Amnesty Senegal – la maggioranza delle industrie di trasformazione delle arachidi sono chiuse con gravi conseguenze in termini di disoccupazione. Un tempo era lo Stato che gestiva il settore e faceva da intermediario tra i produttori e il mercato internazionale”. Un settore oggi nelle mani di pochi che trasformano in modo domestico, e non più industriale, la materia prima: un processo molto inquinante che produce olio di scarsa qualità, pericoloso per la salute umana. Altra critica di peso al presidente uscente, che domenica andrà al ballottaggio col suo ex primo ministro Macky Sall, è di aver fatto della distribuzione di terreni fertili uno dei pilastri del clientelismo politico e della corruzione. “Nella regione molto fertile del fiume Senegal, in particolare a Mbane, proprietà di più di 50 ettari ciascuna sono state distribuite a ministri di Stato e esponenti politici, chiamati ironicamente ‘gli agricoltori della domenica’. Tutte terre lasciate a maggese che invece, se affidate a contadini competenti, potrebbero fruttare tanto” riferisce ancora l’interlocutore della MISNA. Peggio ancora, altre centinaia di ettari sono stati dati in concessione a società straniere, per lo più italiane ma anche dei paesi arabi, e destinate alla coltura della jatropha per produrre biocarburante per i motori diesel destinato all’esportazione. Il fenomeno è conosciuto come accaparramento delle terre o land grabbing. “E’ un’altra scelta sbagliata – sottolinea Gassama – che ricade direttamente su tutti i senegalesi. In un territorio di 153.000 chilometri quadrati, è criminale distribuire terre fertili, preziose poiché rare visto che buona parte del paese è desertico, sulla base di contratti poco trasparenti. In questi anni sono andate sprecate tante risorse naturali e umane”. Il direttore di Amnesty Senegal dice di sperare che chi verrà eletto possa “riprendere seriamente in mano il paese e tener conto dei contadini nelle future scelte politiche”.

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