Sembra un incubo, ma il ddl sicurezza ha fatto diventare Legge i sogni giovanili di Maroni, Borghezio & Co


Jean-Léonard Touadi


Dobbiamo avere tutti la consapevolezza che questo provvedimento segna una svolta pericolosa nella nostra convivenza civile. Esso compie un vero e proprio tradimento della Carta Costituzionale…


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Sembra un incubo, ma il ddl sicurezza ha fatto diventare Legge i sogni giovanili di Maroni, Borghezio & Co

Ancora un’aggressione razzista nel cuore della Capitale. Questa volta i professionisti specializzati nel minimizzare non hanno nessun appiglio. Non ci troviamo in una periferia degradata dove è in atto una vera e propria guerra tra poveri sullo sfondo di quartieri abbandonati a sé stessi, senza servizi, senza punti di aggregazione, senza presìdi culturali, dove la rabbia e la frustrazione sociale ed economica (calo vertiginoso del potere d’acquisto, disoccupazione, precariato e, in generale, una grave incertezza sul futuro) cerca e trova uno sfogo sbagliato nel diverso per etnia, per colore della pelle, per orientamento sessuale. Non siamo nemmeno in presenza di una crescente ed aggressiva anomìa di bande giovanili cresciute dentro un immaginario xenofobo ed intollerante che hanno trovato in partiti apertamente xenofobi come Forza Nuova o Fiamma Tricolore e in alcune frange del tifo violento un nutrimento ideologico. Un immaginario, quello, che ha esasperato artificialmente miti identitari che poggiano essenzialmente sul fatto di delineare una netta linea di demarcazione tra un “noi” chiuso e nostalgico e un “loro” pensato e vissuto come una minaccia, un inquinamento da scongiurare con mezzi violenti. Essa è una concezione aberrante della violenza – spesso compiuta in gruppo- come un gesto riparatore, una violenza purificatrice che ha raggiunto il suo acme nei fatti di Nettuno, quando un cittadino indiano fu dato alle fiamme in una notte di noia da ragazzi per bene. Ora questa violenza razzista ha trovato la sua legittimazione politica, culturale, sociale nel varo ormai definitivo del pacchetto sicurezza, approvato in via definitiva dal Senato nell’indifferenza pressoché generale di tutti. Sembra un incubo, ma l’approvazione del disegno di legge ha fatto diventare Legge dello Stato i sogni giovanili di Maroni, Borghezio & Co. e domani, forse, farà diventare realtà quelli di Fiore e Romagnoli.

Dobbiamo avere tutti la consapevolezza che questo provvedimento segna una svolta pericolosa nella nostra convivenza civile. Esso compie un vero e proprio tradimento della Carta Costituzionale laddove essa afferma i princìpi di uguaglianza tra le persone (artt.2 e 3), laddove essa sancisce l’inviolabilità dei diritti delle persone (art.2), laddove essa afferma il diritto alla Salute (art.30) laddove essa circoscrive la responsabilità penale alla condotta personale (art.27) e non estensibile ad un’etnia, ad una nazionalità oppure ad uno status sociale come la condizione provvisoria di immigrato illegale. SIamo scivolati progressivamente nell’era dei destini separati, della legislazione differenziata tra i cittadini e i residenti senza diritti (coloro ai quali si applica l’espressione semanticamente e simbolicamente escludente di ‘clandestino’, colui che ha assunto i connotati di una figura paria, posta per decisione altrui nei gironi infernali dei diritti negati, dentro un’umanità reificata). Al di là dei singoli provvedimenti, tutti odiosi e da contrastare senza se e senza ma, occorre prendere atto dell’odioso status antropologico e sociale che abbiamo conferito agli stranieri tutti che vivono con noi e tra noi. Li abbiamo rinchiusi nell’angusto recinto degli ‘intoccabili’ della Repubblica, con il sigillo della legge e il timbro in ceralacca della Gazzetta Ufficiale. Avremmo bisogno di molti Primo Levi per aiutarci a porre l’unica domanda degna di questi tempi: “se questo è un Uomo”. Per adesso ho visto solo Roberto Saviano che, con acuta penetrazione della nostra sofferta contemporaneità, ha accolto e descritto il nesso inscindibile che esiste tra la condizione degli immigrati e la nausea collettiva del nostro vivere comune.

Ma non possiamo solo denunciare i misfatti dei malvagi. E noi che ci dichiariamo alieni alla cultura del cattivismo fatta legge del ministro Maroni, siamo sicuri di essere esenti da colpe per azione o per omissione? Io guardo con sofferta preoccupazione (essendo in commissione giustizia della Camera assisto in diretta alla cucina indigesta della minestra razzista) al dilagare di una deriva istituzionale. Ma sono più preoccupato ripensando al silenzio degli onesti mentre nasceva e cresceva nella società prima ancora che nel Parlamento la malapianta del razzismo, della xenofobia e dell’intolleranza. Abbiamo pensato che fosse possibile fermare l’antirazzismo come una semplice petizione di principio senza calarla nella concretezza dei mutamenti profondi subiti dalle nostre città. Non abbiamo saputo ascoltare le viscere profonde dei quartieri periferici, ‘ex-operai’, che si sono ritrovati soli nell’affrontare cambiamenti prontamente interpretati dagli altri: gli imprenditori della paura- che hanno dato sfogo irrazionale ad una sindrome anch’essa irrazionale di invasione e di minaccia. Abbiamo costruito un’intercultura su misura, superficiale, radical-chic e paternalista. Abbiamo pensato che bastasse un immigrato senegalese con trecce e tamburo alle feste di partito o altrove per mettere in pace la nostra coscienza. Abbiamo preferito il folclore multiculturale ad una governance dell’immigrazione che si proponesse pedagogica nei confronti degli stati deboli maggiormente impauriti dalla dirompente irruzione di persone più sfortunate di loro e che, lungimirante, fosse in grado di creare quegli spazi necessari di un’intercultura che è mediazione sociale, ascolto culturale dell’altro con gli strumenti della letteratura, del cinema, del teatro. Un ascolto, cioè, suscettibile di narrare l’altro nella sua complessità e ricchezza sotto l’egida del diritto e della responsabilità degli immigrati in un quadro di diritti e doveri.

Dobbiamo fare in modo che la nostra indignazione si trasformi in una ritrovata capacità di essere nei luoghi del cambiamento, in sintonia con loro per poterli guidare in una cornice di solidarietà e corresponsabilità. Dobbiamo avere il coraggio, laddove governiamo, di non accontentarci di stigmatizzare coloro che temono la concorrenza straniera nell’asilo comunale. Dobbiamo poter dire che la soluzione sta nel costruire più asili nido, come suggerito da Chiamparino in un recente comizio. La crisi rischia di esasperare nei prossimi mesi le tensioni sociali e la guerra tra poveri. E’ compito di una democrazia e della politica operare per portare ad armonica ricomposizione gli interessi divergenti presenti in un territorio. E’ compito della sinistra, se questa parola ha ancora un senso, essere portatrice di innovazione, nelle ‘rerum novarum’ (nuovi accadimenti e segni dei tempi) della nostra travagliata contemporaneità.

Fonte: Articolo21

5 luglio 2009

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento