Sedi estere: la Rai suona la ritirata


Ennio Remondino


Cinque sedi estere Rai chiuse dal primo agosto e, in questi giorni, traslochi e rimpatri per mobilio, apparati tecnici e giornalisti al seguito. Nessuno gioisce. Né chi arriva, né chi accoglie.


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Sedi estere: la Rai suona la ritirata

Non è una bella notizia. Poteva pure essere peggio. Un settore strategico al pari dell’informazione regionale svilito da sprechi, clientele e direttori sciocchi. Cinque sedi estere Rai chiuse dal primo agosto e, in questi giorni, traslochi e rimpatri per mobilio, apparati tecnici e giornalisti al seguito. Nessuno gioisce. Né chi arriva, né chi accoglie. Cinque sedi, quattro ex corrispondenti -Madrid era orfana da tempo- e quattro giornalisti d’età e di legittime o esagerate aspettative da collocare in redazioni stracolme di attese e pretese. Peggio che rieducare i reduci dal Vietnam. Un tempo il settore era riservato ai possibili direttori, agli ex direttori o agli inviati bravi. Ultimamente anche ai rompiscatole da tenere lontani. Oggi parliamo solo delle sedi chiuse per garantire privacy agli sfortunati colleghi. Chiude il sud America che ci fu narrato un tempo da Italo Moretti e Franco Catucci. Erano epoche di rivoluzioni e  attenzioni di giornali radio o tv fatti con decoro. Immagini in bianco e nero con racconti colorati. Chiude l’India passata da Gandhi alle bombe atomiche. Dopo averla poco sfruttata e raccontata giornalisticamente, ora le lasciamo in ostaggio i due Marò dell’incidente antipirateria. Speriamo che anche a loro tocchi presto il rimpatrio. Chiude l’avamposto mediorientale di Beirut, salvo pausa per la visita papale settembrina. Libano e Siria era il mandato, hezbollah e Damasco, per intenderci. Tempismo perfetto. Ma tanto il Tg1 copre il dramma siriano da Gerusalemme o, da guardoni, a  qualche confine. E il Tg3 fa lavorare solo il desk esteri.

La Sublime Porta. Chiude infine, e qui mi permetto una particolare mozione degli affetti, la sede dell’antica capitale dell’impero Ottomano. Istanbul, la mia città per cinque anni. La mia invenzione. La creatura sottratta al padre per pensionamento. Crudele. Dalla reggia del Sultano sino alle pendici nord dell’impero, lungo i lacerati e tanto amati Balcani, al limes ultimo della Sava tra la Belgrado ancora turca e i dirimpettai asburgici, che per prendersi la Bosnia ci hanno poi rimesso un principe ereditario, regalandoci la prima guerra mondiale. Sulle guerre relativamente più recenti di Bosnia e Kosovo, sorvoliamo. Le guerre prossime future, sempre in Bosnia e Kosovo, chissà chi le racconterà? Per non parlare di ciò che lasci a sud. Quel mondo arabo inquieto che si chiama Siria, o Iraq o Iran. Tutti paesi confinanti e raggiungibili. Con quel giannizzero slavo con telecamera di Miki Stojcic ce li siamo goduti tutti. Volendo si può. Certamente di fatto è andato a morire un mestiere: dei gloriosi Volcic, o Paternostro, o Ruggero Orlando. Ora, il semplice fatto di essere in certo posto non vuole dire più nulla. Servono i contenuti per poi saperli raccontare. Se hai il sedere pesante usi le agenzie, altrimenti gambe e testa. Ma siamo alla preistoria. Infatti ci lascia, tra non  molti rimpianti, salvo quelli di chi purtroppo ha perso il posto di lavoro, anche Rai Corporation Usa, l’ultima roccaforte di una Rai monopolista e sprecona al gusto di peperoncino. Ovviamente di Rieti.

Elegia della lesina. Una Rai che stringe i cordoni della borsa è una Rai che stringe anche qualche adiposa cintura. E la cura dimagrante, soprattutto se imposta, non piace a nessuno. Non più Uffici di corrispondenza, ma Presidi giornalistici nel mondo. Il giornalista che torna a fare soltanto il giornalista. Chiedendo le prestazioni tecniche necessarie ad una struttura esterna. Più o meno come tornare in redazione a Roma. La Rai dice che ciò sia un risparmio, la parte sindacale contesta, e c’è chi minaccia azioni legali. Resta il fatto che presto saranno costretti a lasciare le loro vecchie, prestigiose e costose sedi sia i  colleghi di Parigi sia quelli di Londra. Ma cosa resta del passato oltre la memoria di pochi appassionati? New York con due reporter, forse un terzo a Washington ma non c’è delibera che lo sostenga. Poi, forte ed intoccabile, Bruxelles dell’Europa boccheggiante. Tre giornalisti e una speranza. Garantiti i due “Palazzi” che dominano il mondo, il resto è spesso occasione per l’evento. L’economia da Berlino, la casa reale oltre Manica. Del resto le guerre si raccontano soltanto quando scoppiano. Prima non c’era spazio sui Tg da pastone politico. Ed ecco Gerusalemme, Il Cairo, Mosca, Pechino, Nairobi. Non vorrei dimenticare qualcuno ma credo che siamo alla conta finale. Nove presidi giornalistici Rai nel mondo e interi continenti per 16, forse 17 o 18 giornalisti. Pochi se dovessero realmente percorrere e raccontarci il mondo, Altrimenti agenzie.

Il conto non torna. Non tanto e non solo quello delle ex sedi di corrispondenza. Dicono 17 milioni di risparmi, ma io li vorrei vedere. Non torna il conto dell’utilizzo reale, pieno, di quelle risorse giornalistiche che nessun altro concorrente radiotelevisivo in Italia ha. Quanto di racconto del mondo trova spazio nei nostri telegiornali e nei notiziari radio? Detta più rozzamente: quanto di marchettari e politicanti ci viene imposto sui nostri notiziari rispetto a quanto accade sul pianeta? Un editore privato può scegliere, come ha fatto La7, di prediligere la politica interna, ma di farla bene. Altro che “pastone” e santini di leader politici in proporzione iniqua. Uno può scegliere di esaltare la cronaca vicina alle curiosità e ai bisogni della gente, ma allora faccia vedere qualche fabbrica occupata e non soltanto Confindustria e sindacati. Le tute blu esistono ancora? Resta il fatto che i due elementi specifici, caratterizzanti, di un servizio pubblico vengono sovente umiliati. Stiamo parlando delle realtà territoriali e di quelle internazionali. Sedi regionali e corrispondenti. Eppure esiste e resiste un telegiornale che per principio rifiuta quei contributi. Tutto fatto in casa. Al massimo si chiedono un po’ di immagini. Ora le questioni sono due. O è tutta spazzatura quella che arriva da fuori, o è da prendere a calci nel sedere chi si arroga tale diritto, violando assieme prassi sindacale, buon senso aziendale e un po’ di dovuta umiltà professionale. Forse servirebbe un editore.

Fonte: www.articolo21.org

30 luglio 2012

 

 

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