Se Istambul assomiglia ad Helsinki


Emanuele Giordana - Lettera22


Ankara ha un sogno condiviso anche da Kabul. Nasce il “Processo di Istanbul”, idea di una Csce asiatica.


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Se Istambul assomiglia ad Helsinki

Ankara ha un sogno condiviso anche da Kabul. Potrebbe chiamarsi Csca o Osca, se si prendesse per buono il modello europeo della Conferenza per la sicurezza e cooperazione in Europa (Csce) degli anni Settanta del secolo scorso che, agli inizi degli anni Novanta diventò poi, col summit di Parigi del novembre 1990, l'Organizzazione per la sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) che oggi conosciamo. Se a Europa si sostituisce Asia, l'acronimo cambia. E se a “Processo di Helsinki” si sostituisce “Processo di Istanbul” ecco che il sogno turco afgano (ma soprattutto turco) potrebbe cominciare ad avere gambe per camminare.
Benché l'accordo di Istanbul del 2 novembre scorso, firmato da 14 ma sostenuto da tutti i 29 soggetti – tra Paesi e organizzazioni internazionali – presenti, non abbia sollevato una grande attenzione, qualcosa è successo sulle rive del Bosforo, dove un antico palazzo di epoca ottomana ha visto muovere i primi passi il tentativo di creare un po' più che una cornice di sicurezza e cooperazione per dragare il pantano afgano. Strada in salita, è chiaro. E, per ora, poco più che una dichiarazione di intenti. Che forse però val la pena di prendere in considerazione.
Quattordici Paesi hanno deciso di cooperare per la rinascita di un Afghanistan «stabile e sicuro» nell'ambito di un'iniziativa battezzata «Processo di Istanbul».

E' questo in due parole il succo del risultato della Conferenza internazionale per l'Afghanistan co-organizzata da Turchia e Afghanistan e che, già dal titolo, prometteva forse anche di più di ciò che poteva davvero realizzare. Alla “Conferenza di Istanbul sull'Afghanistan: sicurezza e cooperazione nel cuore dell'Asia” hanno partecipato i 14 Paesi che gravitano attorno al drammatico universo dell'Hindukush. Con l'Afghanistan – e la Turchia paese ospitante – c'erano Pakistan, India, Cina, Kazakihstan, Russia, Iran, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kyrgyzstan, Arabia saudita, Emirati. Come osservatori c'erano un'altra dozzina di soggetti tra cui: Francia, Canada, Ue, Germania, Italia, Giappone, Svezia, Spagna, Norvegia, GB, Usa, Onu).
Se il sogno turco, Paese che non nasconde l'orgoglio per l'abile bottino in termini di peso politico di questi ultimi anni, era quello assai complesso della nascita di una sorta di Osce asiatica patrocinata da Ankara, le difficoltà erano iniziate fin dal nome: gli afgani non volevano una conferenza sull'Afghanistan ma un summit regionale dove Kabul sarebbe stata, sì nel cuore dell'Asia, ma non il cuore del problema. Qualche screzio infine si era avvertito anche sulla compilazione della lista dei partecipanti (quanti sono i confinanti e fino a dove arrivano le frontiere dell'Afghanistan?), rimasta un mistero sino all'ultimo momento: col rischio che il summit non fosse altro che una passerella di poco conto, fallimento che Ankara e Kabul avrebbero entrambi mal digerito. Ma la difficoltà vera era ed è di altro genere.

Almeno quattro Paesi non sembravano vedere con occhi favorevoli un processo dagli esiti incerti e traguardato da qualcuno con malcelato sospetto: il Pakistan non ama che sulle questioni afgane ci siano troppi giocatori a un tavolo dove Islamabad non nasconde di voler giocare il ruolo del banco; la Russia, a lungo tenuta fuori dal “Grande Gioco”, non ha interesse alla nascita di una nuova organizzazione regionale con gli Stati Uniti e l'Europa come comprimari. Per Mosca il meccanismo c'è già e si chiama Sco (Shanghai Cooperation Organisation), organizzazione regionale eminentemente asiatica dove gli Usa non sono presenti, il Pakistan e l'India hanno lo status di osservatori e l'Afghanistan, dal 2005, vi fa parte nello Sco-Afghanistan Contact Group. Anche la Cina è tiepida su nuovi meccanismi anche perché Pechino, come Mosca, è tra i fondatori e gli azionisti di riferimento della Sco. Infine l'Iran: Teheran teme soprattutto la crescente influenza di Ankara e l'aumento della sua statura geopolitica nella vasta regione asiatica.
Resta il fatto che l'accordo è stato firmato, sostenuto da europei, americani e Onu (era presente Staffan De Mistura per Unama, la missione Onu a Kabul, mentre Hillary Clinton non è andata per un lutto in famiglia). E resta il fatto che “Processo di Istanbul”, come è stato chiamato l'avvio della fase post conferenza, ricorda così da vicino “Processo di Helsinki” da andare un po' più in là di una semplice assonanza vocale.

<>. L'Italia (la delegazione era guidato dal sottosegretario Stefania Craxi) sembra credere che in qualche modo il futuro afgano del dopo Istanbul sia un po' più roseo. Atteggiamento che in Europa sarebbe largamente condiviso anche se il vero tassello mancante – per quel che riguarda il processo di transizione a Kabul* – è la Conferenza di Bonn che si terrà in Germania a dicembre, a dieci anni da quella storica del 2001 che disegnò – arditamente– il nuovo. Afghanistan.

Per prendere a prestito quanto ha scritto alla vigilia del summit Thomas Ruttig, un analista dell'autorevole Afghanistan Analysts Network di Kabul, Istanbul ha anche dimostrato che è venuto il momento di altri attori, a dimostrazione che è servita a poco l' <> di un 'Occidente <>, lasciando Russia, Cina Iran e altri fuori dalla porta. Difficile dire che la sua lettura non abbia forti ragioni.
Chissà dunque che il sogno enucleato dagli eredi della Sublime Porta non faccia qualche passo avanti. Gul ed Erdogan un altro successo l'hanno comunque ottenuto. In un momento davvero difficile nei rapporti tra Pakistan e Afghanistan, l'incontro a tre (trilaterale) prima del summit qualche effetto l'ha sortito. Quello di raffreddare i toni tra due vicini che non smettono di guardarsi con sospetto.

*Negli stessi giorni Kabul ha annunciato la seconda fase del processo di “transizione” che, da qui al 2014, dovrebbe passare il dossier sicurezza in mani afgane. Interessa 17 province di cui 7 per intero (Daikundi, Nimroz, Parwan, Samangan, Sar-i -Pul, Takhar, Balkh).

Fonte: www.lettera22.it
10 Novembre 2011

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