Kabul nel “cuore dell’Asia”


Emanuele Giordana - Lettera22


Una conferenza internazionale per rilanciare il ruolo dell’Afghanistan e del presidente Karzai. Gli occidentali sono solo osservatori. E intanto la società civile locale si organizza in vista della conferenza dei donatori a Tokyo e del post-2014.


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Kabul nel "cuore dell'Asia"

La Conferenza che ha messo assieme tutti i paesi centro-asiatici – con difficili vicini dell'Afghanistan come Pakistan e Iran ma anche colossi come Cina, India Russia o Egitto e Arabia saudita (gli occidentali hanno ruolo di osservatori) è un'idea turca, tanto che questo tentativo di forum per la stabilità e la cooperazione apertosi oggi a Kabul, è stato battezzato “Processo di Istanbul”. La prima conferenza del genere si è tenuta a Istanbul l'anno scorso (sette mesi fa) e qui siamo al secondo passo. Gli afgani ci hanno tenuto, sin dall'inizio, a chiarire che non sono “un problema” ma un soggetto attivo. Si vedrà. L'atmosfera è in realtà quella di un summit di parole e buone intenzioni anche se, per i più ottimisti, saran pure piccoli passi ma importanti nel tentativo di costruire un quadro di cooperazione regionale che ricorda un po' la Csce, la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

La “Heart of Asia Ministerial Conference in Kabul” è in realtà soprattutto, vista dalla capitale afgana, una bella vetrina per il suo presidente, l'elegante ma in seria difficoltà Hamid Karzai. Nel suo discorso di apertura ha detto che sta preparando un futuro di stabilità e buon governo al suo successore, ma tutti sanno che in realtà il presidente – osteggiato in parlamento e con consensi pubblici al lumicino – sta pensando a come non essere estromesso alla prossima tornata elettorale delle presidenziali che si avvicina e che, costituzionalmente, lo taglia fuori dalla corsa.

Per Karzai dunque, la statura internazionale dell'Afghanistan, il suo status diplomatico e la risonanza che Kabul si è guadagnata sulla scena internazionale (un afgano – l'ambasciatore Zahir Tanin – è appena stato eletto a vicepresidente della prossima assemblea dell'Onu), sono meriti che il presidente può legittimamente segnare sul suo libro di successi personali. Il problema però è che, forse per via del suo buon inglese, dei modi raffinati e forse anche per il fatto che è sempre stato considerato l'unico cavallo possibile, il presidente gode di maggior fiducia all'estero che non in casa propria. Per via di quell'intreccio tra affari e politica che anche gli occidentali gli rimproverano ma che alla fine, per realpolitk, gli hanno sempre perdonato.

La Conferenza è blindata e diventa praticamente impossibile avvicinare qualcuno. I giornalisti (pochi) sono relegati in una sala con Tv e seguono distrattamente i lavori che non hanno l'aria dei grandi eventi. Un enorme televisori rimanda le immagini dei delegati e pochi discorsi che meritino attenzione salvo rare eccezioni: gli iraniani ad esempio. Che ne approfittano per felicitarsi per l'uscita di scena della Nato e per sottolineare il volume degli investimenti concessi a Kabul, con la promessa di integrare l'Afghanistan nell'asse stradale e ferroviario dei persiani, da sempre amici-nemici dell'Afghanistan, fratelli-coltelli che, tra l'altro, parlano la stessa lingua.

Ma se il summit di Kabul non promette molto se non una strada in salita anche se indubbiamente utile. Gli occhi, per l'Afghanistan, sono puntati assai di più su Tokyo. E' li che si saprà quale credito la comunità internazionale è disposta a concedere all'Afghanistan, con quale impegno e per quanto tempo. E a sostegno di chi. Preoccupazioni che non riguardano solo il governo afgano ma anche un nuovo protagonista della scena: la società civile locale che oggi pomeriggio, dopo la fine dei lavori, è stata ricevuta dal sottosegretario italiano Staffan De Mistura, già a capo di Unama, la missione Onu a Kabul.

I delegati della società civile – associazioni e Ong, fondazioni culturali e centri di ricerca – gli hanno espresso il timore che il ritiro delle truppe equivalga a un abbandono anche della cooperazione e gli anno espresso l'appoggio alla cosiddetta “Iniziativa 30%” avanzata in Italia da Tavola della pace, “Afgana” e Rete Disarmo. Significa in sostanza, che per ogni euro risparmiato col ritiro dei soldati, un terzo di quella somma dovrà tornare in Afghanistan sotto forma di investimenti nello sviluppo. Tra questi c'è la “Casa della società civile”, un grande centro sociale che sottolinei il nuovo ruolo che questo pezzo di società afgana organizzata si è guadagnato.

Fonte: http://www.lettera22.it
14 Giugno 2012

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