Scusate, e il Dialogo?


Padre Renato Kizito Sesana


La notizia sorprende: il corso di Studi islamici al Tangaza College di Nairobi è stato sospeso per mancanza di studenti.


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Scusate, e il Dialogo?

La notizia sorprende: il corso di Studi islamici al Tangaza College di Nairobi è stato sospeso per mancanza di studenti. Creato nel 1989 dai Missionari d’Africa (già Padri Bianchi) presso il Pontificio istituto di studi arabi e islamici (Pisai) di Roma, il corso si proponeva di offrire una sostanziosa conoscenza dell’islam e una formazione al dialogo ad agenti ecclesiali di pastorale che lavorano in ambienti islamici. Dato che la maggioranza degli studenti provenivano dall’Africa, nel 2000 fu deciso di trasferire il corso al Tangaza College di Nairobi, un’istituzione universitaria fondata dagli istituti missionari e religiosi presenti in Africa Orientale. Nei primi tre anni, solo due o tre studenti s’iscrissero al corso a tempo pieno. Dal 2004, però, non c’è stato più alcun studente iscritto a tempo pieno al corso. Oggi, gli insegnanti – tutti altamente qualificati – si limitano a offrire corsi complementari (opzionali) agli studenti della facoltà di teologia. Corsi anche frequentati e molto apprezzanti, non si discute. Ma è scontato che non formano a una “competenza specifica” per il dialogo interreligioso.

Questa sospensione è un segno che, a oltre 40 anni dalla promulgazione della Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, Nostra Aetate, del Concilio Vaticano secondo (ottobre 1965), il dialogo islamo-cristiano non è ancora considerato una priorità?

Una lettura attenta dei Lineamenta per il prossimo Sinodo africano sembra giustificare questa domanda. Nella versione stampata che circola in Kenya, una sola delle 66 pagine e una sola delle 32 domande del questionario allegato sono dedicate alle relazioni con l’islam. E questo, per preparare un sinodo che intende esaminare la situazione di un continente in cui la religione del Corano vanta una consistente presenza in moltissime nazioni (Somalia, Sudan, Editto, Tunisia, Algeria, Marocco, Senegal, Gambia, Mali e Niger sono a stragrande maggioranza musulmana).

Ne parlo con padre Paul Hannon, dei Missionari d’Africa, una vita intera dedicata all’incontro con l’islam e, fino a poche settimane fa, coordinatore del dipartimento di Studi islamici del Tangaza College. Sta per ritornare in una grande parrocchia di Khartoum, dove spera di poter esercitare il proprio ministero al servizio della comunità cristiana e degli amici musulmani.

Spiega così il mancato successo del corso di studi islamici. «Una ragione potrebbe essere l’elevato costo della vita a Nairobi. Ma il motivo principale è che l’incontro con il mondo islamico non è una priorità dei vescovi e delle congregazioni religiose, specialmente in paesi, come il Kenya, dove i musulmani sono una minoranza. La loro presenza non costituisce una minaccia e non si avverte la necessità di confrontarsi con loro. Così, però, si perde una grande opportunità di instaurare relazioni. In nazioni, come il Sudan, dove la chiesa ha sofferto persecuzione e marginalizzazione per mano di maggioranza islamica, si preferisce mantenere le distanze. Non mi permetto di giudicare chi ha patito grandi sofferenze. Credo, comunque, che le difficoltà vadano affrontate e superate, aumentando le occasioni d’incontro e di condivisione, che già esistono».

 L’incontro sul sociale

Eppure, il dialogo con il mondo islamico sembra ormai avviato, anche se l’atmosfera non è sempre serena e distesa. Dopo la lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona nel settembre 2006, 38 saggi islamici hanno inviato una prima lettera a commento (ottobre 2006) e, un anno dopo, una seconda lettera (sottoscritta da 138 saggi, diventati in seguito 216), per cercare un terreno comune di collaborazione fra cristiani e musulmani. A sua volta, il 19 novembre scorso, Benedetto XVI ha risposto alla lettera dei 138, aprendo a una possibile collaborazione su diversi campi. Gli incontri ad alto livello si sono susseguiti con un fitto calendario. L’ultimo (a Roma, alla fine di aprile) ha visto otto delegati dello Islamic Culture and Relations Organization di Teheran discutere con i vertici del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso su “Fede e ragione nel Cristianesimo e nell’ Islam”. Insomma, un vero “dialogo di civiltà” sta lentamente emergendo, ben diverso dallo “scontro delle ignoranze” che è, invece, alimentato da chi, in entrambe le parti, si rifà a luoghi comuni.

Secondo padre Hannon, non bisogna trascurare le possibilità di collaborazione islamo-cristiana che si presentano nelle vita quotidiana: «A livello di base, prima d’incominciare a parlare di dialogo, bisognerebbe parlare d’incontro. Innanzitutto, diventando consapevoli che, ovunque in Africa, intorno a noi ci sono musulmani. Bisogna saper “vedere” questa presenza e riconoscerla, per poi promuovere occasioni d’incontro, non necessariamente su temi religiosi, bensì su temi sociali d’interesse comune, quali giustizia e pace, diritti umani, sviluppo economico e uguaglianza sociale. Per citare un esempio: i recenti gravi problemi riscontrati in Kenya avrebbero potuto diventare un’occasione di comune riflessione e azione. In Kenya ci sono alcuni musulmani aperti e illuminati, con i quali è possibile incontrarsi e incominciare un confronto fraterno su questi temi».

 Qualcosa si muove

Questo incontro è potenzialmente più facile e fruttuoso proprio in Africa, dove le comunità islamiche hanno spesso assorbito lo spirito di tolleranza e la capacità di convivenza tipica delle culture tradizionali. Basti pensare all’islam delle comunità senegalesi e, in genere, della regione saheliana.

Padre Hannon parla con entusiasmo del positivo lavoro svolto dell’Associazione interconfessionale del Kenya, di ciò che viene fatto da suoi confratelli a Tandale alla periferia di Dar es Salama (Tanzania), nonostante le resistenze e incomprensioni di alcuni leader musulmani, e delle varie esperienze di dialogo interreligioso in atto in Uganda, dove diverse organizzazioni civili e religiosi, sia cristiane che musulmane, s’incontrano ogni mese all’università di Makerere, pubblicano la rivista trimestrale Together e organizzano in ogni parte del paese seminari sulla necessità dell’incontro tra le due religioni: una collaborazione, questa, che ha convinto perfino alcuni membri del Supremo consiglio islamico dell’Uganda che il dialogo non è una strategia segreta della chiesa cattolica per convertire i musulmani.

Parla soprattutto della sua esperienza personale a Hajj Yousif, alla periferia di Khartoum, sulla strada per Kassala. «È una parrocchia difficile, dove l’atmosfera può infuocarsi facilmente. Nell’agosto del 2005, quando John Garang, leader della lotta di liberazione del Sud Sudan, perse la vita in un incidente di elicottero da molti considerato frutto di un sabotaggio da parte delle forse islamiche sudanesi più intransigenti, in città si ebbero violenze, omicidi e saccheggi. Un anno dopo, tuttavia, sia pure fra molte difficoltà, abbiamo ottenuto, per la prima volta dopo decenni, l’autorizzazione a costruire una chiesa».

Il tema del prossimo sinodo è “La chiesa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Due le possibili vie da percorrere in materia di relazioni tra cristiani e musulmani. Innanzitutto, c’è la via della riconciliazione fra le due religioni: dobbiamo imparare a riconoscerci, a guardarci negli occhi, ad avere il coraggio di mettere sul tavolo tutte le negatività del passato (divisioni, conflitti, perfino stragi in nome della religione, come accadde a Mombasa, sulla costa del Kenya, nel 17° secolo), per poi incominciare a considerare ciò che ci unisce più che ciò che ci separa, come le comuni origini e la fede nello stesso Dio. A Mombasa c’è un’iniziativa diocesana per bambini di strada che, con una felice intuizione, è stata intitolata “Figli di Abramo”.

L’altra via è quella dell’azione comune al servizio della giustizia e della pace, in cui credenti di ambedue le religioni s’impegnano per il bene di tutti. Non si tratta di un sogno. Una intesa è possibile: basta decidere. Riferendosi ai progressi fatti negli ultimi anni, padre Hannon sottolinea: «Risultati positivi si sono avuti dove singoli o gruppi cristiani si sono lanciati in azioni coraggiose, lasciandosi guidare dallo Spirito e non da altri interessi».

Per quanto riguarda i Lineamenta, si può solo sperare che il testo – penosamente inadeguato, anche solo come strumento per una iniziale riflessione sul possibile incontro e su una fattiva collaborazione fra cristiani e musulmani – venga sostanzialmente migliorato attraverso i contributi inviati alla segreteria del Sinodo dall’episcopato africano, e che l’Instrumentum laboris, il testo che servirà come base per la discussione sinodale, offra una visione più articolata e, nello stesso tempo, più profetica.

Fonte: Blog di Padre Kizito

30 maggio 2008 

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