Riconciliazione: unica via per israeliani e palestinesi


L’Osservatore Romano


​L’associazione israelo-palestinese Parents Circle – Families Forum (Pcff) che riunisce famiglie che hanno perso un congiunto nel conflitto raccontata nel libro “Le nostre lacrime hanno lo stesso colore”


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Nostrelacrimehannolostessocolorefoto

Il quotidiano «Haaretz» l’ha salutata come «l’associazione israelo-palestinese più triste e anche la più ottimista», definizione che effettivamente ben coglie lo spirito e il senso di Parents Circle – Families Forum (Pcff), organizzazione nata durante gli accordi di Oslo che oggi riunisce seicento famiglie israeliane e palestinesi. Tutte hanno perso un congiunto nel conflitto che da decenni insanguina la regione.

L’idea di creare una rete tra le famiglie in lutto per sostenere il processo di pace è venuta a Yitzhak Frankenthal, uomo d’affari ebreo ortodosso, dopo il rapimento e l’assassinio del figlio Arik. Armato di penna, pazienza e molta determinazione, l’uomo ha trascorso due mesi in una biblioteca di Tel Aviv immerso negli archivi dei giornali locali finendo per identificare 422 famiglie che hanno perso un parente stretto a causa della guerra. Insieme con Roni Hirshenson, garagista di Gerusalemme il cui figlio Amir è stato ucciso in un attentato suicida, prova a contattarle tutte: raccoglierà quarantaquattro risposte positive. Un fallimento, parrebbero dire i numeri; un successo, se si pensa che quest’uomo è riuscito a convincere genitori, figli, nipoti e zii dilaniati dal dolore per la morte violenta di un proprio caro a non arrendersi a odio e vendetta.
Inizialmente l’associazione riuniva solo israeliani, ma a poco a poco si è fatta strada l’idea che anche le famiglie palestinesi potessero — e dovessero — entrarvi a far parte. Il che è avvenuto nel 2003 quando Parents Circle è diventata binazionale.
La storia di questa associazione è raccontata nel libro Le nostre lacrime hanno lo stesso colore (Milano, Edizioni Terrasanta, 2017, pagine 160, euro 16) firmato da due donne, Bushra Awad e Robi Damelin, palestinese la prima e israeliana la seconda, accomunate dal fatto di aver perso un figlio nel conflitto. Aiutate da Anne Guion, giornalista del settimanale francese «La Vie», nel libro le due madri ripercorrono le tappe del difficile percorso che ha permesso loro di liberarsi dalla rabbia e dall’odio nel tentativo di costruire qualcosa di buono.
La parola chiave che riassume il lavoro dell’associazione e dei tanti progetti che essa porta avanti — come, ad esempio, la banca del sangue israelo-palestinese — è vulnerabilità. È infatti questo senso comune di vulnerabilità che Pcff cerca di portare alla luce e di approfondire negli incontri tra israeliani e palestinesi nella speranza, divenuta negli anni convinzione, che l’empatia sia la chiave per avvicinarsi alla fine del conflitto. Una fine «non solo indispensabile, ma anche possibile». Il passaggio necessario è quello di comprendere che la sofferenza dell’altro non rimette in discussione la propria: pare incredibile ma questo processo è possibile solo perché lo scambio avviene con il nemico. Il processo di guarigione scatta proprio nella misura in cui queste storie di sofferenza sono condivise con lui.
Esiste — ricorda Anne Guion — «poca letteratura sulla riconciliazione, e più precisamente sui meccanismi psicologici che entrano in gioco. Da un lato ci sono la psicologia e le emozioni, spesso relegate nelle riviste femminili, e dall’altro la geopolitica. Due ambiti separati che non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro». Eppure la storia recente offre suggerimenti inequivocabili. È stato il caso di francesi e tedeschi («Come abbiamo fatto — si chiede Guion — a passare in così poco tempo dalla condizione di nemici di lunga data a quello di paesi cooperanti in seno a un’unica organizzazione, l’Europa?»), ma è anche quello di Irlanda del Nord e Sud Africa (dove, tra l’altro, l’israeliana Robi è nata e dove torna per cercare di capire come abbia fatto il paese a voltare pagina).
Ovviamente trasformare la teoria in pratica non è semplice. Il cammino per Parents Circle – Families Forum, come si diceva, è molto accidentato. Ma la forza sta nel sapere che è un cammino indispensabile: «Noi viviamo qui, non possiamo permetterci di essere disperati» ripetono spesso i membri di Pcff.

di Silvia Gusmano

7 settembre

 

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