Rai, una proposta. E se la TV producesse un format sui diritti umani?


Roberto Natale, Giunta Federazione Nazionale Stampa Italiana


Pensa ad un "format" televisivo sui diritti umani, Roberto Natale del sindacato dei giornalisti (Fnsi). Uno spazio da inserire nei palinsesti della televisione pubblica per dare voce a chi si vede negati i diritti fondamentali e per diffondere la cultura della pace: "La Rai ha, se vuole, professionisti che sanno impostare campagne e programmi". Ecco la sua e la nostra proposta.


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Rai, una proposta. E se la TV producesse un format sui diritti umani?

E’ stato trasmesso spesso, in estate. Sulle reti Rai lo spot per la moratoria mondiale della pena di morte è passato più volte. Efficace, toccante. A pensarci bene, indirettamente era anche uno spot sul servizio pubblico, su ciò che può e sa fare quando si ricorda dei suoi compiti. Eppure, per mandarlo in onda c’è voluta la mobilitazione dei radicali, che si sono autosequestrati per giorni al piano terra di viale Mazzini finché non hanno ottenuto assicurazioni. C’era già una risoluzione unanime della Commissione di Vigilanza che chiedeva alla Rai attenzione al tema. Però c’è stato bisogno del gesto “clamoroso”. E il servizio pubblico ha finito per dare l’immagine goffa e imbarazzata di chi fa sotto “ricatto” una scelta civile ed editoriale che sarebbe stata dovuta.
Chissà se in Rai hanno appreso la lezione. Perché il tema dei diritti umani potrebbe essere una linea d’azione intorno alla quale rendere più riconoscibile il profilo del servizio pubblico. Non tanto perché c’è una ricorrenza da celebrare (stiamo per entrare nel 60esimo anno di vita della Dichiarazione universale dei diritti umani: il Parlamento italiano voterà una legge, e si può supporre che anche la Commissione di Vigilanza vorrà sollecitare la Rai). Ma soprattutto perché è drammaticamente davanti agli occhi di chiunque non voglia tenerli chiusi il fatto che l’informazione fa la differenza, e la fa in modo letteralmente vitale. Deve probabilmente la sua sopravvivenza all’attenzione che si è accesa nel circuito informativo internazionale Pegah, la donna iraniana che nel suo Paese rischia la lapidazione perché accusata di omosessualità e che il governo britannico stava per rimandare in patria. E ad una vigilanza del giornalismo (oltre che delle autorità politiche, naturalmente) sono legate le speranze di Adnan e Hiwa, i due giornalisti curdi condannati a morte, sempre in Iran, dopo un processo senza avvocati e a porte chiuse. E non dipende anche da noi, dalla nostra attenzione, che non vengano ancora una volta brutalmente schiacciate le domande di libertà che salgono dalla società cinese? Migliaia di persone hanno scommesso sull’occasione dei prossimi Giochi olimpici per alzare la testa: scelgono di giocare una partita che può avere un esito mortale, confidando che da questa parte del mondo non ci si interessi solo al significato sportivo dell’Olimpiade o alle convenienze economiche. Fingiamo di non sentire, in attesa di commuoverci di nuovo quando ripasseranno in tv le immagini di Tien An Men?
Viene da chiedere ai nostri direttori: ma non è cronaca anche questa? Siamo proprio sicuri che solo vicende come quella di Garlasco possano imporsi all’attenzione generale? Chi l’ha detto che l’obiettivo di sventare un crimine in atto non possa suscitare almeno una parte della curiosità e della partecipazione con la quale vengono seguiti gli accertamenti del Ris sulla scena di un crimine già compiuto? Non sembra sufficiente rispondere solo sulla base delle distanze: “cosa vuoi, Garlasco è casa nostra”. Perché quando vogliamo la geografia non conta: come dimostra la copertura della storia della bambina inglese scomparsa in Portogallo e dell’inchiesta in corso sui suoi genitori.
E comunque sarebbe davvero un eccesso di cinismo accampare preoccupazioni di share quando si tratta di una scelta di civiltà. Una scelta davanti alla quale la Rai non dovrebbe esitare: una scelta giusta (che riscuoterebbe senz’altro un consenso unanime) e utile (perché direbbe cosa è servizio pubblico sullo schermo, non in un convegno). La prossima marcia per la pace Perugia-Assisi, in programma domenica 7 ottobre, sarà quest’anno dedicata proprio al tema dei “diritti umani per tutti”. Casualmente – ma talvolta il caso dà suggerimenti espliciti – coincide con il primo anniversario dell’uccisione di Anna Politkovskaja. C’è da augurarsi che la Rai voglia seguire l’avvenimento (e le molte iniziative che lo preparano) in maniera meno striminzita delle asfittiche “finestre” che furono ricavate nel palinsesto in occasione delle ultime edizioni. Però non può bastare l’attenzione di un giorno. Quello che si chiede al servizio pubblico è di lavorare sul tema con continuità. Spot? “Pillole”? Programmi di approfondimento? La Rai ha, se li vuole utilizzare, professionisti che sanno impostare programmi, campagne, palinsesti. Che possono rompere la logica dei “format”, ed inventarne uno nuovo: il format dei diritti umani.

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