Pena di morte: il diritto alla vita non si fermi davanti alla Corte Suprema


Lucina Paternesi Meloni


Dopo la sentenza della Corte Suprema statunitense Nessuno tocchi Caino invita a proseguire sulla strada indicata dall’Onu per l’abolizione della pena di morte.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Pena di morte: il diritto alla vita non si fermi davanti alla Corte Suprema

In questi giorni mentre il Presidente degli Stati Uniti d’America e Papa Ratzinger discutevano di difesa della vita, pace nel mondo, tutela dei diritti umani, è arrivata la tanto attesa sentenza della Corte Suprema americana: l’ iniezione letale non è incostituzionale. Con 7 voti contro 2 è stato respinto il ricorso di due condannati a morte nel Kentucky e da oggi le esecuzioni per mezzo di iniezioni letali, ferme dallo scorso 25 settembre, potranno riprendere.
Amnesty International Italia ha subito dichiarato che “È una sentenza inaccettabile, perché è come se affermi che c'è un modo umano e indolore di mettere a morte una persona”.
Il ricorso alla Corte Suprema  è stato reso possibile dal divieto, presente nella Costituzione americana, di praticare punizioni crudeli e sofferenze non necessarie, ma la Corte Suprema ha affermato che non è possibile dimostrare che l’iniezione letale rientri nella categoria. L’esecuzione avviene con tre iniezioni diverse: la prima stordisce tramite un sedativo, la seconda paralizza i muscoli e la terza fa arrestare il battito cardiaco.
Secondo Nessuno tocchi Caino “troppo spesso il sedativo non rende il condannato completamente incosciente, per cui le altre sostanze possono procurargli dolore atroce”, e alcune fonti riportano che  alcune volte il detenuto ha impiegato più di 30 minuti a morire.
E oggi sono in molti a chiedersi: “Cosa ci può essere di più crudele?”
Quando lo scorso 14 novembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato la risoluzione contenente la moratoria sulla pena di morte – votata con 104 si, 54 no e 29 astenuti – la società civile mondiale aveva creduto di compiere un nuovo e importante passo sulla strada del riconoscimento del diritto alla vita, della legalità, come aveva affermato allora Sergio d’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, “il 14 novembre è stata una giornata storica per la legalità, il diritto, una vittoria per la difesa dei diritti umani”.
Una vera e propria inversione di tendenza insomma, uno spiraglio di luce che Sergio d’Elia invita a non trascurare anche dopo la sentenza della Corte Suprema statunitense. In una nota diffusa ieri, il rappresentante di Nessuno tocchi Caino, ha affermato che “La Corte Suprema degli Stati Uniti non era chiamata a decidere sulla pena di morte in sé ma sulla crudeltà e inusualità del metodo di esecuzione. Ma il problema di fondo non è la umanità o meno, la civiltà o meno del modo di eseguire una sentenza capitale, ma l'anacronismo della pena di morte nel terzo millennio in cui ormai siamo.
Ragion per cui la sentenza della Corte Suprema non può essere considerata uno stop al processo abolizionista tanto meno una controindicazione rispetto al valore politico e di indirizzo della risoluzione Onu, peraltro non vincolante giuridicamente, sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali”.
Il fatto che la maggioranza degli  Stati in seno alle Nazioni Unite si sia espressa favorevole all’abolizione della pena di morte, è sintomatico che questa volontà esiste davvero ed è possibile sospendere le condanne una volta per tutte. L’impegno dei governi, la serietà delle Nazioni Unite e la volontà di tutti i cittadini del mondo posso fermare questo scempio perché non solo è possibile, ma è quanto mai necessario, un mondo senza pena di morte.

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento