Parigi impantanata: violenti combattimenti in Mali


Anna Maria Merlo - Il Manifesto


Doveva essere la “guerra-lampo” di Hollande e invece la Francia rischia di vivere il suo Afghanistan. Ieri un capo qaedista Abu Zeid, e’ morto sotto le bombe francesi.


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Pochissime informazioni filtrano dal nord del Mali, dove la Francia, assieme ai militari del Ciad con l’appoggio di alcuni Tuareg, continua l’operazione Serval. La guerra è entrata ormai in una seconda fase, molto più complicata della prima. Nelle prime settimane, l’esercito francese è avanzato in fretta, non trovando veri e propri ostacoli. I ribelli, legati ad Aqmi (Al Quaeda Maghreb islamico) si sono ritirati nella zona montagnosa, al confine con l’Algeria e sembra si siano riorganizzati. Negli ultimi giorni ci sono stati degli attentati suicidi a Gao e in altre città, fino a Kidal, retroguardia degli attacchi aerei francesi.

Il ministero della difesa non ha ancora confermato la notizia, diffusa dalla stampa, dell’uccisione di un importante capo della Jihad, Abu Zeid, un algerino, che sarebbe morto sotto le bombe francesi, assieme a una quarantina di altri combattenti. Abu Zeid è considerato il responsabile del rapimento di quattro ostaggi francesi, sequestrati in Niger nel 2010. Nessuna nuova notizia, dopo un drammatico video messo in rete qualche giorno fa, neppure dei sette ultimi ostaggi – un’intera famiglia, tre adulti e quattro bambini – sequestrata nel nord del Camerun e probabilmente trasferita in Nigeria. L’operazione Serval comincia a costare molto cara, «più di 100 milioni di euro finora» ha precisato il ministero della difesa. Secondo il ministro, Jean-Yves Le Drian, «se le cose evolvono normalmente cominceremo ad andarcene da fine marzo».

La Francia spera di potersi ritirare e di mantenere delle forze in Ciad, da richiamare in attività in caso la situazione lo richieda. Ma, per il momento, «siamo in una fase di combattimenti molto violenti», ha aggiunto il ministro.

Tutto avviene nell’ombra.
Il Consiglio superiore dell’audiovisivo, l’autority della tv, ha messo in guardia France 2 per aver diffuso delle immagini troppo crude degli effetti della guerra in termini di vite umane. Pare che nel massiccio degli Ifoghas gli interventi, aerei e terrestri, siano realizzati dai francesi e dalle truppe del Ciad, mentre non dovrebbero partecipare i soldati del Mali, messi sotto accusa da vari organismi di difesa dei diritti umani per la violenza della repressione contro gli abitanti, i Tuareg in particolare, sospettati di essere alleati dei ribelli islamisti. La Cécéao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale) ha chiesto all’Onu di intervenire con una forza di peace keeping il più presto possibile. La Cédéao sottolinea che gli africani che formano la Misma (Missione internazionale di sostegno al Mali) mancano di finanziamenti per dispiegare gli 8mila soldati previsti (finora sul terreno sono 5800, a cui vanno aggiunti 2500 del Ciad). Il costo della Misma è ormai valutato a un miliardo di dollari. Per il momento, la comunità internazionale ha stanziato, a fine gennaio, 338 milioni per la Misma.

L’Onu è nell’imbarazzo, e subisce il pressing francese. In una riunione del Consiglio di sicurezza, voluta dalla Francia, è stata redatta una lettera a Ban ki-moon, il segretario generale, dove si chiede che vengano studiate «le modalità e le condizioni di creazione» di una forza Onu di mantenimento della pace. Per ora le è stato trovato un nome: la Minuma (Missione di stabilizzazione delle Nazioni unite in Mali). Ma per un’operazione di peace keeping ci vuole una richiesta ufficiale del Mali, che per il momento si è limitato a premere per la Misma, oltre a un accordo di pace nella regione e il consenso della parte avversa. Tutti elementi che per ora mancano all’appello.

La Francia, che ha sul posto 4mila militari, ha confermato l’invio, da parte della Ue, di 80 «formatori» che devono addestrare lo sbandato esercito maliano. Parigi, dopo le accuse delle organizzazioni umanitarie contro i militari del Mali, chiede anche all’Onu di inviare degli osservatori per controllare il rispetto dei diritti umani.

Fonte: Il manifesto

2 marzo 2013

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