Palude afgana, il bilancio


Emanuele Giordana - Lettera22


Il tributo in termini di vittime civili è stato l’anno scorso di 2.412 persone e 3.803 feriti in soli dieci mesi (fino a ottobre) con un aumento rispetto all’anno precedente del 20%. Altissimo anche il numero di morti nell’esercito (821) e nella polizia afgani (1.292). Quanto alle truppe straniere il 2010 ha visto morire 711 soldati contro i 521 del 2009.


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Palude afgana, il bilancio

Con un attacco suicida in un affollato bagno pubblico di Spin Boldak, un villaggio alla frontiera col Pakistan nella provincia meridionale di Kandahar, i talebani hanno ucciso ieri almeno 17 persone ferendone un'altra ventina. L'obiettivo era un posto di polizia che si trova nel medesimo edificio, ma la strage ha finito per colpire soprattutto civili inermi. Regola ormai osservata con scrupolo. Nella stessa giornata anche tre soldati della Nato sono stati uccisi in due attentati nel Sud e nell'Est del Paese.
Giornata di ordinaria follia bellica in un Paese senza pace e con nessuna prospettiva all'orizzonte e di cui Al Jazeera, utilizzando fonti diverse, ha dato ieri un tragico riepilogo numerico di un sanguinario 2010: secondo l'emittente del Qatar, il tributo in termini di vittime civili è stato l'anno scorso di 2.412 persone e 3.803 feriti in soli dieci mesi (fino a ottobre) con un aumento rispetto all'anno precedente del 20%. Altissimo anche il numero di morti nell'esercito (821) e nella polizia afgani (1.292). Quanto alle truppe straniere il 2010 ha visto morire 711 soldati contro i 521 del 2009 (soprattutto americani e britannici: 35 gli italiani con Matteo Miotto, ucciso l'ultimo dell'anno a due settimane dalla fine della sua missione).
E' in questo quadro che la guerra infinita d'Afghanistan si snoda tra dichiarazioni sull'imminente ritiro (luglio 2011) e la decisione, apparsa sui giornali americani, di inviare però almeno altri mille marine (1.400 secondo altre fonti) nel teatro asiatico anche se il Pentagono sta rifacendo i conti con i tagli previsti dall'Amministrazione. Tagli che però non mineranno la spesa della Difesa per le truppe in Afghanistan.
Con quella che il Washington Post ha definito una “prima volta” dalla fine della Guerra Fredda, la Difesa americana si è infatti ormai rassegnata al fatto che il tasso di crescita della spesa militare non è più sostenibile. La forbice amministrativa però non inciderà troppo e soprattutto non toccherà la spesa militare per Afghanistan e Iraq. I 553 miliardi per il 2011 che la Casa Bianca ha proposto al titolare del Pentagono, Robert Gates, vedranno infatti un taglio di 78 miliardi in cinque anni (la richiesta dell'Amministrazione era di 150) e, lasciano capire i giornali americani, qualcosa si dovrebbe risparmiare anche col ritiro delle truppe impegnate in Afghanistan previsto per luglio. Ma quanti saranno i militari a tornare a casa? Si dice da qualche migliaio a ventimila ma sono soltanto voci.
La stampa afgana si fa invece latrice di altre preoccupazioni. La riduzione del budget militare appare infatti del tutto insignificante se si guarda a quella prevista per la spesa civile in Afghanistan, ossia i finanziamenti alla ricostruzione. Secondo ToloNews il Congresso vorrebbe ridurre drasticamente il nuovo programma civile finora costato all'Amministrazione, dal 2002, 56 miliardi di dollari. Sono i repubblicani a fare la voce grossa: favorevoli a mantenere l'impegno militare pensano che i sacrifici vadano fatti sul civile con un taglio “grasso” che i democratici vorrebbe evitare. Per ora però la quantità dell'operazione non è nota,
Sul fronte politico le cose stagnano: l'ultima buona notizia è stato il riconoscimento politico indiretto dei talebani come parte politica negoziale visto che Karzai (ma non tutti sono d'accordo con lui nel suo governo) si è detto pronto a salutare la nascita di un ufficio della guerriglia in un Paese terzo, la Turchia ad esempio. Partner in un certo senso ideale (fa parte della Nato ma si vanta di non aver mai ucciso un afgano), Ankara ha qualche ambizione. Ma deve fare i conti con sauditi e pachistani. E ovviamente con gli americani.

Fonte: Lettera22, il Manifesto

8 gennaio 2011

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