Pace vuol dire… colorare il mondo!


Valentina Difato, Reporter di pace


Tante lingue, tante razze, tante sfumature hanno dipinto la Marcia per la Pace Perugia-Assisi 2010: il popolo dei camminatori in cerca di “un’altra cultura”.


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Pace vuol dire… colorare il mondo!

Volti neri, bianchi e olivastri, assieme a foulard verdi, gialli e rossi. A spiccare, più in alto di tutti, sotto un cielo colorato di grigio, un ombrello ricoperto da una kefiah. Areen, Mohamed, Sara e gli amici della Somalia, conoscono bene la guerra che sta devastando i loro paesi in Africa e in Medio Oriente, e si sono dati tutti appuntamento sotto porta San Girolamo, a Perugia, per dire no alla violenza e dare il via alla Marcia per la pace 2010. Loro, i rappresentati dei paesi di guerra, i protagonisti di conflitti spesso dimenticati, aprono ufficialmente il lungo corteo che da Perugia si snoda verso Assisi e che da 49 anni chiede a giovani, cittadini, amministrazioni ed associazioni del Terzo settore di mettersi in cammino per un mondo migliore.
E si marcia per quelli come loro. Così come “per tutte quelle persone che pur avendo un nome e un cognome e non vengono mai illuminate, gli invisibili, per quelli che hanno perso o rischiano di perdere il posto di lavoro, per quell’infermiera che abbiamo sepolto a Napoli, per quei bambini che stanno morendo in questi minuti da qualche parte del mondo”, come ricorda Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, pochi minuti prima della partenza. Per loro decine e decine di migliaia di persone, da tutta Italia, si sono riunite, sfidando il maltempo e la fatica, per percorrere insieme 24 chilometri.
In un angoletto, alla destra del corteo, si distingue il blu delle divise da scout, si intravedono gli zaini colorati e le bandiere arcobaleno. Giulia, Riccardo e Olivia emettono, con le loro mani, un suono che fa “tum tum”, come ad evocare il battito del loro cuore. Uniti nel ritmo portato a tempo da un tamburo, tutti insieme vogliono ricordare al governo italiano e degli altri paesi dell’Unione Europea la promessa di eliminare la povertà estrema e di raggiungere gli Obiettivi del Millennio promossi dall’Onu. Perché la pace passa anche dalla responsabilità.
Si muovono i primi passi, un caterpillar in testa alla marcia ricorda che “I diritti umani non si sgomberano”. Un fiume impetuoso e festoso di gente scende lungo le strade della cittadina umbra. “Questa marcia – dichiara Flavio Lotti – è un modo per andare alla ricerca della serenità, della voglia di vivere, della voglia di essere liberi: pace è il bisogno più soffocato che c’è oggi nel mondo. Il nostro desiderio è quello di caricare in tante persone la voglia di camminare insieme, ma, soprattutto,  tanta energia da sprigionare ogni qualvolta c’è una violenza, c’è una discriminazione, c’è una guerra, c’è un’ingiustizia. Protestiamo troppo poco per  quello che sta accadendo in Italia e nel mondo: dobbiamo farlo di più e meglio, insieme”.
Altri colori, nuovi volti.
Nel bel mezzo del corteo sfilano anche il rosso, il bianco e il verde, tonalità che accostate l’una all’altra formano quella che è la bandiera italiana. Rosolino, Claudio, Davide e Silvia, camminano insieme e chiacchierano. Sono i sindaci di alcuni Comuni in provincia di Cremona. Sono gli amministratori di Casalmaggiore, Gadesco, Corte de’ Frati e Pieve San Giacomo che per la prima volta partecipano alla marcia. A seguirli un folto gruppo di studenti, che, all’interno dello zaino, a cui hanno legato le scarpe, troppo strette per sopportare così tanti chilometri, hanno una copia della Costituzione. Sono convinti che l’amore per il prossimo passa soprattutto dallo studio e dalla conoscenza, un percorso lungo che li vede impegnati tutto l’anno.
“La pace è 365 giorni all’anno – continua Lotti, sentendo forte questa spinta – e questo significa comportamenti coerenti, vale a dire impegno a tradurre in scelte quotidiane quei valori fondamentali che ci possono aiutare a costruire una strada per noi, per i nostri figli, per le nostre famiglie e per quelli che verranno dopo”.
“Decine e decine di migliaia di persone – conclude il coordinatore della Tavola della pace – hanno deciso di salire sugli autobus, nonostante il tempo terribile di questi giorni, fare sei o sette ore di viaggio, fare 24 chilometri a piedi e poi ritornare nelle proprie case. Bisogna essere convinti per farlo, ci vuole davvero tanta convinzione. Bisogna poi spendere questa convinzione in un lavoro quotidiano nei prossimi mesi, nelle prossime settimane e poi, il 25 di settembre del 2011, ci ritroveremo a fare ancora un po’ il bilancio e dare i risultati di questo lavoro”.
E c’è anche chi ha deciso di allungare il proprio tragitto, per conoscere e realizzare fino in fondo le motivazioni che spingono a gridare “Pace”. Chiara vive e lavora a Lodi, ma pochi giorni prima della Perugia-Assisi ha seguito i missionari comboniani a Castel Volturno, cittadina del casertano densamente popolata di cittadini extracomunitari. È arrabbiata Chiara, perché ha visto come i suoi amici africani vengono accolti nel nostro Paese e si chiede quotidianamente il senso della parola pace. Quello che ha capito è che non bisogna farsi prendere dalla paura, perché è proprio quella a spezzare le ali. Così ha scelto di fare la sua marcia con Abou, un ragazzo di 26 anni che viene dalla Costa d’Avorio e che è stato meno fortunato di lei. Comunicano con qualche parola di francese, di inglese e di italiano: un mosaico di lingue. Peace, paix, pace. Perché non c’è pace senza non violenza, senza responsabilità, senza diritti umani, senza libertà, senza speranza, senza giustizia. Perché non c’è nero senza bianco e non c’è bianco senza nero.

Valentina Difato, Reporter di pace

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