“Non accetteremo i ricatti di Hezbollah”


Umberto De Giovannangeli - L'Unità


Il leader della Primavera di Beirut: «La pace civile non può fondarsi sull’omertà. Il governo deve collaborare pienamente con il Tribunale Onu». Intervista a Samir Frangieh.


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"Non accetteremo i ricatti di Hezbollah"

L'unità del Paese non può fondarsi sul ricatto e sull'omertà. Le risultanze a cui è giunto il Tribunale speciale per il Libano (Tsl, ndr) sono il frutto di un lavoro d'indagine serio, approfondito, che ha permesso di fare luce sulle responsabilità nell'attentato contro Rafik Hariri. Nessuno può invocare la ragion di Stato per non dare attuazione alle richieste del Tribunale dell'Onu. L'era dell'impunità è finita. Milioni di libanesi chiedono verità e giustizia. Negarle significherebbe ricacciare il Lbano indietro nel tempo, il tempo in cui il mio Paese era un protettorato siriano e chiunque vi si opponeva era considerato un nemico da eliminare». A parlare è uno dei protagonisti della «primavera di Beirut», esponente di una delle famiglie storiche del Libano: Samir Frangieh.

«La pace civile deve essere la priorità su tutto»: ad affermarlo è il primo ministro Najib Miqati, subito dopo la formalizzazione delle richieste del Tribunale speciale per il Libano relative all'arresto di 4 esponenti di Hezbollah implicati, secondo il Tsl, nell'attentato che è costato la vita all'ex premier Rafik Hariri… «La pace civile non può fondarsi sulla negazione della giustizia e sulla copertura dei responsabili della strage che, è bene ricordarlo, è costata la vita non solo a Rafik Hariri ma anche ad altri 22 cittadini libanesi. La pace civile di cui parla Miqati non può essere realizzata cedendo al ricatto di chi sembra conoscere e praticare solo il linguaggio della forza. Per quanto ci riguarda non siamo disposti a subire l'ennesima forzatura. E questa è una determinazione che accomuna tutte le forze politiche del 14 Marzo (la coalizione antisiriana guidata dal figlio del premier assassinato, Saad Hariri, ndr). Noi, voglio sottolinearlo con forza, non chiediamo vendetta. Esigiamo giustizia».

I vertici di Hezbollah accusano il Tsl di essere un tribunale politicizzato. «È un'accusa infondata, pretestuosa, a cui il governo non può dare copertura. Non è sulla menzogna e sull'impunità che il Libano potrà divenire uno Stato di diritto».

A sostenere che la stabilità è più importante della giustizia, è anche il leader druso, Walid Jumblatt. «Certe affermazioni più che timori appaiono come degli avvertimenti. Di nuovo, un ricatto. A Jumblatt dico: cosa vorresti che facessimo? Da cinque anni ci siamo battuti perché fosse fatta luce sull'assassinio di Rafik Hariri: milioni di libanesi, protagonisti della Rivoluzione dei cedri hanno rivendicato verità, giustizia, indipendenza. Ed ora che un Tribunale internazionale ha dato una prima risposta a queste istanze, dovremmo dire spiacenti, non se ne fa niente…Davanti alla Corte internazionale, gli imputati avranno tutti i diritti di difesa. Ciò che non possono chiedere è di non sottoporsi a giudizio. Si tratta di un punto sostanziale: per noi c'è una differenza sostanziale tra un atto di accusa, come quello formulato dagli inquirenti, e un giudizio definitivo».

Alla luce di queste considerazioni la coalizione del «14 Marzo» cosa chiede al governo guidato da Najib Miqati? «Di offrire una collaborazione diretta e incondizionata per ciò che concerne l'attuazione delle richieste del Tsl…».

Ma del governo Miqati fa parte, con un ruolo di primissimo piano, Hezbollah… «Miqati deve dimostrare all'opinione pubblica libanese e a quella internazionale di non essere un primo ministro ostaggio di Nasrallah (il leader di Hezbollah, ndr). Non collaborare con il Tribunale dell'Onu significherebbe riportare indietro le lancette della storia, a quando il Libano era di fatto un protettorato siriano, un Paese a sovranità limitata. Per chiedere verità, giustizia, indipendenza sono morti decine di libanesi, politici, intellettuali, giornalisti coraggiosi. Un nome per tutti: Samir Kassir».

C'è chi sostiene che il Libano può diventare di nuovo il teatro di una guerra per conto terzi. Il riferimento è a ciò che sta avvenendo nella vicina Siria. «Questo rischio esiste. La storia ci è d'insegnamento. In Siria è in atto una rivolta popolare che il regime sta reprimendo nel sangue. Destabilizzare il Libano può servire a sviare l'attenzione della comunità internazionale, dimostrando al tempo stesso che le chiavi della stabilità regionale sono nelle mani di Bashar al-Assad. Siamo di nuovo di fronte alla logica del ricatto. Una logica inaccettabile».

Cosa resta della Primavera di Beirut? «Un bisogno insopprimibile di voltare pagina. Lo stesso che ha animato la Primavera araba, in Tunisia, in Egitto, in Siria…Non siamo i soli a coltivare questo sogno di libertà».

Fonte: l'Unità

2 luglio 2011

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