Mozambico: terra di conquista


Gianni Ballarini


Un’alleanza a tre tra Maputo-Brasilia-Tokyo prevede di trasformare un’area di 145mila km² nel nordest del paese in un’immensa industria agroalimentare. Scatenando la mobilitazione dei contadini, della società civile e della Chiesa.


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Sviluppo è una parola mimetica e promiscua. Flessibile. Strattonata un po’ di qua e un po’ di là. Pronunciata dagli economisti del Fondo monetario internazionale (Fmi) assume un significato; sulla bocca dei piccoli agricoltori di una provincia sperduta dell’Africa ne acquista un altro.

Un esempio, tra i tanti, è quello che sta accadendo in Mozambico, paese coccolato dalla globalizzazione virtuosa e sempre più terra di conquista di investitori stranieri. Benedetti dall’Fmi. Vissuti come colonialisti dalle piccole comunità agrarie, soprattutto del nord, che si vedono espropriare i loro campi, con l’incubo di soccombere ancora una volta alla dieta rigorosa della miseria.

Dieta che non rientra, invece, nei programmi della classe dirigente mozambicana, da sempre al potere: prima come avanguardia del socialismo africano; oggi avamposto del capitalismo efficiente.

Il presidente del paese, Armando Guebuza, è soprannominato dai più maliziosi “Guebusiness” per il suo fiuto negli affari. E deve averne annusati molti quando si sono presentati alla sua corte Brasile e Giappone a proporgli una partnership per trasformare il nordest del paese in un’immensa industria dell’agro-alimentare. Il progetto si chiama ProSavana (Programma di triangolazione per lo sviluppo dell’agricoltura nelle savane tropicali del Mozambico) e ha come obiettivo di trasformare un’area di 14,5 milioni di ettari, 145mila km², in un territorio di scorribanda per imprese nippo-brasiliane interessate alla monocoltura da esportazione. Soia su tutte le sementi.

Un progetto che avrà effetti diretti sui 4 milioni circa di mozambicani che vivono lungo il corridoio di Nacala (formato dalla strada che collega Nampula a paesi come Malawi e Zambia) e che coinvolge 19 distretti di 3 province (Niassa, Zambesia e Nampula appunto).

Ma la mobilitazione di questi mesi delle organizzazioni dei contadini, della società civile e della Chiesa cattolica contro la privatizzazione della terra sta mettendo in discussione il progetto stesso. Nonostante per Costituzione la terra appartenga alla stato e non possa essere venduta, nella pratica avviene il contrario con un frenetico avanzamento del settore privato e, in particolare, straniero. Il timore è che questo velato land grabbing (accaparramento delle terre) metta a rischio l’autonomia delle famiglie contadine, espropriandole dei campi e aumentandone l’insicurezza alimentare. «Continuando di questo passo», l’accusa rivolta a Maputo, «vi troverete a governare una terra senza persone». Non solo. Il timore è che quest’aggressiva politica agricola metta a repentaglio lo stesso equilibrio ecologico dell’area.

Guebuza deve aver capito che sta giocando con il fuoco. Il 27 agosto scorso, infatti, ha ammesso pubblicamente la «complessità del conflitto delle terre in Mozambico». E si è appellato alla «vigilanza della popolazione e comprensione degli investitori nazionali e stranieri nella ricerca di soluzioni».

Un progetto “modello”

Tutto si concretizza al G8 del luglio 2009 all’Aquila: sviluppare l’agricoltura nelle savane africane attraverso la cooperazione nippo-brasiliana, sulla base dell’esperienza maturata nell’area carioca di Cerrado, la più estesa foresta-savana sudamericana. La collaborazione tra Tokyo e Brasilia – avviata all’inizio degli anni ’70 fino al 2000 – ha infatti trasformato quei 200 milioni di ettari (24% del territorio del paese) in uno dei maggiori produttori al mondo di semi di soia. Oggi i due paesi vogliono riproporre quel modello e hanno individuato nel Mozambico il cliente ideale. Per diverse ragioni: l’agricoltura è la spina dorsale dell’economia mozambicana, con l’80% dei 23 milioni di abitanti che vive dei prodotti dei campi; meno del 10% dei 36 milioni di ettari di terre arabili erano coltivate nel 2010; il paese presenta 55 milioni di ettari di savana tropicale con, spesso, una cattiva qualità del suolo; c’è poi la possibilità di sviluppare, attraverso la produzione di soia, la locale industria del bestiame.

L’obiettivo è riqualificare con le tecnologie brasiliane le aree del nord lasciando la commercializzazione dei prodotti, soprattutto nei mercati asiatici, alle compagnie giapponesi. Per Maputo, invece, lo slogan è “combattere la povertà” con l’illusione dello sviluppo, appunto. Il 9 novembre del 2010 la firma dell’accordo trilaterale. Nell’aprile del 2011 l’inaugurazione del programma. La prima fase prevede la formazione alle nuove tecnologie dei piccoli produttori locali. Tecnologie messe a disposizione dalla brasiliana Agricultural research corporation (Embrapa) con la costruzione e l’allestimento nel territorio di laboratori del suolo e altri centri di ricerca agricola. L’investimento iniziale di Brasile e Giappone è di 13,4 milioni di dollari. Ma il ministro mozambicano José Pacheco ha corretto la cifra affermando che Tokyo ha già provveduto con 38 milioni di dollari a finanziare la ricerca, l’estensione e la redazione del masterplan di ProSavana.

Tra i maggiori sostenitori dell’iniziativa c’è Bill Gates con la sua fondazione. Nel suo progetto “Iniziativa con impatto: finanziamento dello sviluppo del 21° secolo”, presentato ai leader mondiali, ha promosso ProSavana come un buon esempio di una partnership alternativa. E a Busan (Corea del Sud) in occasione del 4° Forum ad alto livello sull’efficacia dell’aiuto (novembre 2011), l’allora segretario di stato americano Hillary Clinton l’ha descritto come «un modello di cooperazione triangolare tra una nazione sviluppata, una emergente e una nazione beneficiaria».

La durata della fase iniziale del progetto è prevista in 5 anni. Il programma complessivo prevede, invece, un arco globale di almeno 20 anni. E che il business sia appetitoso lo testimonia il fatto che sono già nati due fondi per aiutare le imprese a investire. Il primo è il “Fondo Nacala”, lanciato nel 2012 e che prevede di attrarre investimenti brasiliani e giapponesi per due miliardi di dollari: ha come obiettivo “promuovere il progresso sociale, ambientale ed economico lungo il corridoio”. L’altro è il “Fondo per l’iniziativa di sviluppo ProSavana” costituito nel settembre 2012 da Mozambico e Giappone, a supporto dei diversi modelli per l’integrazione di piccoli agricoltori. I due fondi sono iniziative parallele che non fanno formalmente parte, tuttavia, del progetto.

Frontiera brasiliana

Qualcuno l’ha già battezzato come una nuova forma di colonialismo brasiliano in Africa. In effetti, quella nel corridoio di Nacala è forse la più ambiziosa e di alto profilo iniziativa recente della cooperazione internazionale brasiliana nel continente. Il Mozambico rischia di diventare la nuova frontiera agricola gialloverde. Più di 100 imprenditori agricoli brasiliani, soprattutto dal Mato Grosso, hanno visitato in questi ultimi anni il paese e soprattutto la sua area a nord. Attratti per diverse ragioni: innanzitutto per il basso costo delle terre; per gli incentivi offerti dal governo di Brasilia nell’ambito del progetto ProSavana; per le opportunità offerte dal Fondo Nacala; per il facile accesso ai mercati asiatici; per la mancanza di normative ambientali stringenti in Mozambico. Paese che è sempre più la destinazione di capitali privati brasiliani anche in settori quali il minerario e l’edile. Vale, la seconda più grande compagnia mineraria al mondo, ha una concessione per una miniera di carbone a Moatize, nella provincia di Tete, e ha tutto l’interesse che si sviluppi il porto in acque profonde di Nacala, per il quale il governo ha previsto una serie di progetti il cui valore complessivo ammonta a 1,2 miliardi di dollari. E Vale sta investendo in infrastrutture in quell’area. Del resto le due problematiche – il business dei minerali e dell’agro-alimentare – sono profondamente interconnesse e rappresentano l’incontro-scontro tra i diritti della popolazione civile e gli interessi dei governi stranieri e mozambicano insieme a quelli delle mega imprese.

La ribellione

Ma la gente non ce la fa ad accettare tutto in silenzio. Più di 30 organizzazioni hanno deciso di unire gli sforzi per difendere terra e risorse naturali contro ProSavana. Una campagna nazionale contro la privatizzazione della terra: si denuncia la mancanza di chiarezza, la disinformazione sui progetti e sulle motivazioni per le quali il terreno è stato dato in concessione, l’assenza di un dibattito pubblico ampio, trasparente, democratico e di uno studio sull’impatto ambientale. L’Unione nazionale dei contadini ha organizzato per la prima volta un dibattito pubblico sul progetto ProSavana nell’ottobre del 2012. E molti iscritti hanno scoperto solo allora la sua esistenza. Da quel momento la mobilitazione è stata continua. Il 28 maggio di quest’anno una ventina di organizzazioni della società civile hanno scritto una lettera aperta ai tre governi affinché sospendano tutte le attività in corso nelle savane del corridoio di Nacala, che comportano l’espulsione e l’esclusione dei contadini dalla loro terra. La stessa Chiesa è scesa in piazza. Mons. Tomé Makhweliha, arcivescovo di Nampula, in un convegno organizzato dalla Chiesa locale ha affermato che «la terra è un bene comune dei mozambicani gestito dallo stato e non può essere privatizzato in favore di nulla e di nessuno». Ha poi concluso ricordando che non è da sottovalutare la «tensione in continua crescita tra governo e popolo per i problemi legati all’uso e non uso della terra da parte del popolo».

Tensione che induce ora Guebuza a tirare il freno. Ma fino a quando? L’Fmi è già lì che preme: il Mozambico rappresenta un miracolo agli occhi dei tecnocrati di Washington e il presidente non vuole sgretolare questa immagine.

L’interrogativo, tuttavia, resta: ProSavana e i progetti simili a questo sono davvero la via maestra dello sviluppo in e per l’Africa?

Fonte: www.nigrizia.it
18 ottobre 2013

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